Negli anni ’80 andava di moda, per i ragazzi, fare il biglietto interrail con il quale girare liberamente l’Europa in treno. Ricordo che avrei voluto tanto vivere anche io questa splendida avventura ma i miei genitori non me lo permisero mai: ero minorenne e all’epoca non esistevano i telefonini che consentivano agli ansiosi ascendenti di tenere sotto apparente controllo i propri figli. E così, per me, quella splendida avventura è rimasta un sogno nel cassetto. Da allora, non ho quasi più viaggiato al di fuori dei confini nazionali, per mille ragioni. Solamente da pochi anni ho iniziato ad intraprendere alcuni viaggi di breve durata all’estero: Londra, Lisbona, Berlino e Valencia (di queste ultime due splendide tappe ancora non ho scritto). L’emozione che si prova a viaggiare in età adulta, però, sicuramente non è la stessa che si prova durante l’adolescenza: un misto di ansia e di pragmatismo si sostituiscono all’euforia ed all’incoscienza giovanile. Ad ogni modo, un poco alla volta ho iniziato a sentirmi più sicura nell’affrontare questi spostamenti: il primo viaggio l’ho fatto con un piccolo gruppo, il secondo eravamo in quattro, poi in tre e l’ultimo in due. Poco alla volta mi sono sentita più sicura e ciò che in passato mi sembrava qualcosa di spaventoso (viaggiare senza qualcuno che ne sapesse più di me o che, almeno, io ritenessi tale), oggi mi sembra piuttosto semplice e fattibile. E così ho ricominciato a pensare a quell’antico desiderio di libertà, di girare l’Europa in treno. All’epoca l’interrail era una possibilità riservata solo ai ragazzi al di sotto, se non erro, dei 26 anni. Quando, presa dalla curiosità, ho navigato su internet alla ricerca di notizie, la mia sorpresa nello scoprire che ancora esiste questo tipo di biglietto e che, per giunta, non è più riservato solo ai più giovani, è stata enorme! E, senza pensarci troppo, ho deciso di acquistare un biglietto per me e le mie figlie (che, avendo meno di 12 anni, non pagano) per girovagare un mese intero attraverso il vecchio continente. Tra pochi giorni, dunque, avrà inizio la nostra avventura europea, della quale ho intenzione di scrivere su questo mio blog. E quindi dico: <<Buona lettura a chi vorrà seguirci!>>
Viaggi
Esotica e malinconica Lisbona

Sono trascorsi ormai oltre due anni dal mio magnifico weekend a Lisbona ma, finalmente, ho un po’ di tempo da dedicare ad un argomento così piacevole.
Il mese ideale per visitare questa splendida città è, come abbiamo scoperto sul posto, proprio giugno, perché vi sono numerose feste dedicate a vari santi che, qui, sono molto sentite. Senza contare che i tanti alberi di jacaranda sono in fiore e donano a questa città, già di per sé molto colorata, un tocco di fascino in più.

Intanto, alcuni consigli: se avete prenotato un hotel in centro, in zona Baixa, non avete bisogno di noleggiare un’auto (sciocchezza che, invece, noi abbiamo fatto), perché non la utilizzerete mai! La Baixa è ben collegata e il centro cittadino non è particolarmente vasto, contrariamente a quanto si può credere guardando la mappa della città, senza contare che i taxi sono davvero economici. Quindi vi conviene prendere un hotel in centro. Noi (eravamo due coppie) abbiamo alloggiato al Rossio Garden Hotel, piccolo albergo, pulito e tranquillo, in una ristretta zona pedonale, alle spalle della Praça dos Restauradores, il cui personale è estremamente gentile e disponibile. Altro consiglio: armatevi di tanta pazienza… I portoghesi sono poco organizzati per le visite ai musei e conviene sempre informarvi prima di recarvi in un posto qualsiasi. Le file sono molto lunghe e spesso si trova chiuso a causa di eventi o scioperi. Attenti ai borseggiatori che si fingono turisti, approfittando della calca, e alle molteplici persone che vi avvicinano di sera per cercare di vendervi qualunque tipo di droga!

Ad ogni modo, appena giunti in hotel, di venerdì in tarda mattinata, il tempo di una rapida doccia ed abbiamo iniziato la nostra prima passeggiata… Per prima cosa, ci siamo diretti all’Elevador de Santa Justa, una delle più antiche funicolari verticali ancor oggi esistenti, che collega il Rossio con il Convento do Carmo. Lunga coda di turisti, perché c’è un bigliettaio che vi vende i biglietti ed uno, direttamente alla sue spalle, che lo deve vidimare, facendo perdere il doppio del tempo. Nell’attesa, abbiamo avvistato e tenuto sotto controllo il primo borseggiatore.
Dall’alto si gode di una splendida vista della città, a 360°: ai nostri piedi la Praça do Rossio e la Baixa, in lontananza l’Alfama col suo castello ed, ancora, il fiume Tago. Il convento era chiuso per un evento, quindi non è stato possibile vederlo che dall’esterno, per poi godere un po’ del fresco del Largo do Carmo con le sue jacarande in fiore. La nostra passeggiata è proseguita, scendendo lungo le strade del Bairro Alto verso la vastissima Praça do Comércio, che affaccia direttamente sul fiume.

Per strada abbiamo mangiato ciliegie ottime, che vendono come street food, ed abbiamo saggiato il nostro primo bicchierino di ginjinha (o ginginha, oppure ginja), un liquore locale a base di amarene che è semplicemente squisito!




Poiché eravamo pieni di entusiasmo e il tempo era bellissimo, soleggiato, limpido e un po’ ventoso, abbiamo deciso di proseguire la nostra camminata a piedi verso il quartiere alto dell’Alfama. Questo è un quartiere bello ma un po’ pericoloso (sventato un secondo borseggio, quando ho “beccato” un finto turista già con la mano infilata nel borsello del mio compagno).
Il suo fascino, legato agli splendidi palazzi rivestiti di azulejos (maioliche smaltate) è, purtroppo, lasciato al degrado e all’abbandono, rivelando l’antica opulenza di un paese ormai decisamente povero. Pochi palazzi sono stati oggetto di manutenzione o restauro, mentre molti versano in pessime condizioni. Quelli che sono stati ripresi, però, sono di una bellezza straordinaria, così diversi l’uno dall’altro, con maioliche dai differenti colori e disegni, le ringhiere dei balconi in ferro battuto dalle più svariate fogge e lavorazioni, con influenze stilistiche talvolta meno accentuate e tal altra più marcatamente arabe. Non ci sono parole davanti a cotanta bellezza ma, nel vederla appassire, una profonda tristezza stringe il cuore.



Volevamo visitare la Cattedrale, il Sé de Lisboa ma, purtroppo, era chiusa, così abbiamo proseguito fino al Castelo di Sao Jorge, lungo le caratteristiche stradine ricche di botteghe di artigianato locale dove vale la pena acquistare piccoli souvenir di qualità. Noi, purtroppo, non lo abbiamo fatto e ce ne siamo pentiti, perché in nessun altro luogo abbiamo trovato oggetti così graziosi.
Il panorama che si gode da lassù, guardando in direzione del fiume, lungo le stradine tortuose su alcune delle quali si arrampicano gli sferraglianti tram, è davvero caratteristico. Palazzi bellissimi, completamente rivestiti di azulejos, si alternano a costruzioni più modeste.

Intorno al calar della sera, ci siamo decisi a cercare il piccolo ristorante di Ti Natercia. Avevo letto di questo localino navigando in rete e sapevo che l’unico modo per prenotare (obbligatorio, visto che ha solo quattro tavoli) era telefonando. Così avevo chiamato qualche settimana prima di partire: io parlavo in italiano e Ti Natercia in portoghese ma ci siamo capite alla perfezione! Non è semplice trovare il locale ma alla fine ci siamo riusciti. Sapevamo che era il locale che preparava il miglior baccalà della città e si deve dire che è una fama assolutamente meritata!!!


Abbiamo mangiato bacalhau folhado, cucinato con una sorta di sugo ai peperoni ed avvolto in pasta sfoglia, bacalhau a braz, con uova e patate, bacalhau com natas, con patate e panna: tutto buonissimo ed in grandissima quantità, e poi vino e dolci, per una cifra di meno di € 15,00 a persona. L’ambiente è piccolo, accogliente e molto casalingo. Quando siamo usciti dal locale, abbiamo deciso di chiamare un taxi per tornare all’albergo (abbiamo pregato la proprietaria del locale di chiamarlo per noi) ed abbiamo scoperto che sono davvero supereconomici.
Tornati all’hotel abbiamo fatto un giro lì intorno, dove più volte hanno cercato di venderci fumo ed anche coca, per cui siamo rimasti nelle zone più affollate di locali, turisti e gioventù ed abbiamo scoperto che, proprio alle spalle del nostro albergo c’era una delle mescite di ginginha più famose della città ed abbiamo fatto una piacevolissima tappa: la Ginjinha sem rival di Eduardhino.

La mattina dopo ci siamo alzati di buonora ed abbiamo preso un altro taxi per recarci a visitare la Torre de Belém, uno splendido bastione cinquecentesco costruito sul fiume Tago in stile manuelino. Visitarlo all’apertura è l’ideale, perché non può ospitare un gran numero di turisti, in quanto le scale interne sono talmente strette che ad ogni livello c’è un semaforo che regola il flusso di persone in salita ed in discesa che, però, non tutti vedono, creando un terribile caos. E’ davvero una bellissima struttura che merita assolutamente una visita effettuata con calma.



Successivamente ci siamo recati a visitare il vicino Mosteiro dos Jerònimos, anch’esso in stile manuelino. Lì abbiamo scoperto che se avessimo visitato prima questo complesso, avremmo potuto pagare un biglietto unico e ridotto per visitare tanto la torre quanto il monastero, evitando la lunghissima fila di persone che abbiamo trovato. In verità l’organizzazione dei portoghesi lascia alquanto a desiderare, quindi il mio consiglio è quello di armarsi di tanta pazienza per file, disguidi e contrattempi.




Il monastero ha un bellissimo chiostro ed il refettorio è completamente rivestito di azulejos, contrastando con l’immensa chiesa, un po’ cupa, in stile gotico fiammeggiante, ma altrettanto affascinante.
Stanchi ed affamati, ci siamo recati presso la più nota pasticceria di Lisbona, Pasteis de Belém, dove hanno inventato i noti pasteis de nata, deliziosi dolci di pasta sfoglia ripieni di crema e ricoperti di cannella: una bontà infinita! In nessun altro posto li abbiamo trovati altrettanto buoni ma il luogo è davvero squallido, con enormi sale interne.

Il tempo di rientrare in albergo per una breve sosta e ci siamo diretti al Barrio Alto, servendoci dell’Elevador da Gloria, una caratteristica funicolare che collega la Praça dos Restauradores al belvedere di São Pedro de Alcântara, mediante una ripidissima salita. Il Barrio è un quartiere piuttosto elegante, ricco e modaiolo, con palazzi rivestiti di azulejos molto curati. Nelle stradine laterali si svolge la movida notturna, con locali e ristoranti. E’ una zona decisamente molto turistica. Al Barrio si congiunge il Chiado, ancora più ricco, decisamente chic, dove pare si vada in giro per lo shopping ma non si trova nulla di straordinario.

Abbiamo trascorso tutto il pomeriggio in giro per il quartiere, cenando in uno dei tanti locali presenti nelle stradine del quartiere, evitando accuratamente i locali in cui si eseguiva il fado, tipica danza locale, di cui noi non siamo cultori (sebbene, forse, valga la pena assistervi almeno una volta, anche solo per curiosità). Mangiare, bere e spostarsi in città è decisamente economico.

L’ultimo giorno abbiamo preso l’auto che avevamo noleggiato e ci siamo recati presso l’Oceanario, uno dei più grandi al mondo, che riproduce gli habitat di tutti gli oceani, con un’unica immensa vasca centrale alta due piani in cui convivono squali, razze, mante, pesci luna e tantissimi altri, circondata da altri piccoli acquari contenenti pesci tropicali, meduse, anemoni di mare ed altro ancora. E’ un posto magico…
Al termine della lunga visita all’Oceanario abbiamo deciso di tornare all’Alfama per acquistare qualcosa ma abbiamo scoperto che la domenica i negozi sono chiusi. Quindi, se andate, organizzatevi anche badando a questo.
Quando siamo andati a pranzo in un ristorantino ai piedi del quartiere, il proprietario ci ha detto che, se non volevamo che ci rubassero l’auto, avremmo dovuto parcheggiarla esattamente davanti alle porte del locale. Sebbene l’aspetto dei portoghesi sia apparentemente serio e addirittura arcigno, la loro gentilezza ed ospitalità è fuori dal comune (purché ci si ricordi di non provare nemmeno a par loro in spagnolo, altrimenti fingeranno di non capirvi). Parlando lentamente, ci si riesce a comprendere reciprocamente piuttosto bene, per fortuna, poiché quasi nessuno parla inglese.

In definitiva, questa città ha un fascino esotico e particolare ma dietro l’apparente opulenza di un piccolo quartiere più elegante e turistico, si nascondono tanta miseria ed un’infinita tristezza, si percepisce la povertà, la miseria. Furti, borseggi, spaccio, palazzi abbandonati… Lontano dalle zone più movimentate è meglio non muoversi da soli, specie di sera.
E’ una città dal fascino malinconico…
Greetings from London 💂
Faccio una premessa: ritengo che, troppo spesso, le persone preferiscano visitare luoghi esotici o lontani piuttosto che esplorare le bellezze naturalistiche o storiche dei territori che le circondano. Personalmente, ho girato molto l’Italia ma credo di non essere riuscita a vedere nemmeno un decimo di ciò che meriterebbe d’esser scoperto e, pertanto, non ho finito! Ciò nonostante, di quando in quando capita uno strappo alla regola per visitare luoghi più lontani. Erano nove anni che non mi allontanavo dall’Italia ma ho avuto l’occasione di andare a Londra e, francamente, non me la sono lasciata scappare. Tre giorni e mezzo, a cavallo dell’ultimo weekend di aprile, per iniziare solamente ad assaporare una città incredibile (e costosissima) ma ne è valsa la pena. Fortuna ha voluto che il tempo abbia assistito me e i miei compagni di viaggio, senza farci prendere nemmeno una goccia d’acqua. Atterrati all’aeroporto di Gatewik a mezzogiorno, siamo arrivati al Corus Hotel, di fronte ad Hyde Park, ad ora di pranzo. La fama degli hotel inglesi non è delle migliori ma quest’albergo, pur avendo stanze decisamente piccole ed essenziali, è pulito e il personale è davvero molto cortese. Mangiato un sandwich al volo, ci siamo fiondati alla fermata della metropolitana di Lancaster Gate ad acquistare ognuno la propria Oyster Card.
Si tratta di una carta ricaricabile con la quale viaggiare in autobus e metropolitana, che lì chiamano Tube per via della forma delle sue gallerie. La comodità, se ci si sposta con una discreta frequenza nell’arco della giornata e con più mezzi è che, una volta raggiunto il limite di spesa di 6 sterline in un giorno, il resto dei viaggi per quello stesso giorno è gratuito. Si deve solo fare attenzione a passare la tessera sul lettore una sola volta all’entrata ed una all’uscita. Se si sbaglia vengono scalate diverse sterline come ammenda. In genere, però, in caso di errore, è sufficiente segnalarlo al personale addetto che risolve e cancella la multa. La card costa 5 sterline ma dura tutta la vita. Quindi, in teoria, se io dovessi tornare a Londra tra 10 anni, potrei semplicemente ricaricare la mia card ed utilizzarla normalmente.
Ho, quindi, iniziato le mie esplorazioni!!! Quel primo giorno, non avendo più molto tempo a disposizione, sono andata a visitare Hamleys, negozio di giocattoli grande ben 7 piani, pensando alle mie figlie. Vi si vendono giochi che si trovano comunemente anche da noi (ma lì sono più costosi…) e giochi tradizionali come i Teddy Bear o i Paddington, orsetti di peluche. O anche trenini e modellini di ogni foggia e dimensione o, ancora, giocattoli in legno. Vi erano anche diverse “statue” ad altezza naturale rappresentanti i membri della famiglia reale, costruite con i mattoncini Lego.
Poi ho girovagato per Regent Street e Piccadilly Circus, la famosa piazza con i suoi mega cartelloni pubblicitari luminosi, la prima al mondo in cui si sono viste le insegne luminose, con l’avvento della corrente elettrica. Lungo i bordi dei marciapiedi, ovunque, è riportata la scritta che indica di guardare a destra quando si attraversa la strada, per ricordare a noi continentali che il senso di marcia, lì, è inverso rispetto al nostro e si deve far attenzione a non dimenticarlo quando si attraversa la strada.
Mi ha colpito vedere che, a Londra come da noi in Campania, nessun pedone aspetta il verde per attraversare! Chi l’avrebbe detto?! I negozi del centro sono tutti enormi e insegne di negozi italiani campeggiano ovunque. C’è anche una catena di bar, i Caffè Nero, che si trovano quasi ad ogni angolo di strada, dove si può bere un discreto espresso. La cosa strana è stata che, sebbene avessi perso la mia cartina, non ho avuto alcuna difficoltà ad orientarmi, come se avessi sempre vissuto a Londra. Credo che questo fenomeno sia dovuto al fatto che la varietà delle strutture architettoniche, l’ampiezza delle strade, gli immensi negozi offrono talmente tanti riferimenti visivi che perdersi in quella città è quasi impossibile!
La sera, un po’ stanca anche per via del volo e perché mi ero dovuta svegliare molto presto, con i miei compagni di viaggio sono andata a cena in un pub vicino all’albergo, che avevamo prenotato prima di partire: il Mitre…
Ma quando siamo arrivati abbiamo scoperto che avevano smarrito la nostra prenotazione e ci hanno fatto accomodare in una specie di sottoscala buio e puzzolente. Inoltre avevamo un’amica intollerante ai cibi piccanti e, sebbene fossero stati avvisati, le hanno portato solo piatti piccanti. È un locale che vi sconsiglio!
Comunque, per la prima volta, ho bevuto il famoso sidro di mele inglese. All’inizio mi è parso un po’ strano, una sorta di vino quasi trasparente, secco e frizzante, con una gradazione alcolica bassa ma ingannevole. È un sapore a cui ci si deve abituare. Ma poi mi è piaciuto!!!
Il giorno dopo, avendo acquistato i biglietti per i bus Hop on Hop off, autobus turistici a due piani aperti sopra, abbiamo fatto un giro del centro cittadino.
Su questi bus vengono forniti degli auricolari con cui ascoltare le spiegazioni nella lingua prescelta ed anche impermeabili da usare in caso di pioggia. Si può decidere di scendere dove si vuole, gironzolare un po’ e riprenderne un altro alla stessa fermata oppure ad un’altra (spesa a mio avviso evitabile, anche perché non è propriamente economico).
Abbiamo fatto tappa a Trafalgar Square, dove c’era un’allegra manifestazione e tanta musica, con un gruppo che suonava dal vivo le canzoni dei Beatles, abbigliati e pettinati come loro. Molto bravi, creavano un’atmosfera decisamente suggestiva.
Poi, con un tradizionale autobus londinese, siamo andati a pranzare a Covent Garden. È un posto bellissimo, pieno di negozietti e bancarelle, con artisti di strada che si esibiscono in mezzo alla folla e venditori di jacked potatoes, patate intere cotte al forno (in teoria cotte nella cenere), poi spaccate e condite a piacimento, da mangiare seduti sui bordi dei marciapiedi mentre si assiste ad uno degli spettacoli itineranti.
Davvero un posto affascinante. Dopo ci siamo recati alla London Tower ed al Tower Bridge, luoghi prettamente turistici. Ne abbiamo approfittato per fare qualche scatto fotografico anche noi. Ciò che mi ha favorevolmente colpito è con quanta semplicità convivano edifici storici e grattacieli moderni, che riescono ad integrarsi in maniera assolutamente naturale.
Abbiamo preso il battello con lo stesso biglietto del bus turistico e siamo arrivati, via Tamigi, a Westminster. Sul nostro battello c’era una guida, Ben, che parlava solo inglese, simpaticissima: spiegando tutti i luoghi che vedevamo scherzava sornione e ci ha fatto morire dal ridere.
A Westminster abbiamo fatto le classiche foto del Big Ben, dell’abbazia, e con un bobby, il poliziotto locale, che si è simpaticamente prestato. Poi, abbiamo attraversato a piedi il St. James Park, fino a raggiungere Buckingham Palace. Il parco è splendido, pieno di scoiattoli abituati a prendere cibo dai passanti, con un laghetto abitato da cigni e diversi tipi di anatre selvatiche. In questo periodo dell’anno gli alberi sono in fiore e lo spettacolo è davvero notevole.
La sera, ci siamo recati direttamente al Black Friar, uno splendido pub costruito nel 1910 nell’omonimo quartiere, in stile Art Decò.
Anche questo era stato prenotato dall’Italia e, stavolta, non abbiamo avuto problemi. Abbiamo mangiato il classico fish & cips (pesce e patate fritte), le pies (tortine rustiche ripiene di carne o verdure), gli onion rings (anelli di cipolle fritti) e non poteva mancare il famoso pudding, un dolce compatto e decisamente molto zuccherino dal sapore tanto gradevole quanto particolare. Avevo sentito dire che la cucina inglese è terribile ma, in realtà, non l’ho trovata così male. Certo, se si vuol mangiare cucina italiana all’estero il discorso cambia! Ma trovo piuttosto sciocco vedere un paese straniero senza cercare di assaporarne anche gusti e profumi!
La mattina seguente, causa London Marathon che bloccava il centro cittadino, abbiamo preso la metropolitana e ci siamo recati in un quartiere periferico assolutamente fantastico, che consiglio a tutti i ragazzi e giovani che amano la parte più anticonformista della città, quella considerata più cool: Camden Town. Le basse e coloratissime costruzioni sono decorate a rilievo con la trasposizione gigante degli oggetti che si vendono al piano terra.
Lì si trovano i canali di Little Venice ed il meravigliso, multietnico, coloratissimo mercatino di Camden Lock. Sono rimasta affascinata, forse, più da questo luogo che da tutto il resto della città. Non è possibile descriverlo: bisogna andarci! C’è una vasta area del mercato in cui cuochi provenienti da ogni parte del mondo cucinano le loro prelibatezze da mangiare mentre si gironzola nei meandri che ricordano una casbah, tra aree all’aperto e al chiuso, su più livelli e gallerie. Si può saggiare di tutto, dalla nostrana pizza al kebab, dalla cucina tahilandese agli hot dog, dalla cucina cinese a quella vietnamita, spagnola o araba, mentre odori e sapori si mescolano, e visi e lineamenti di ogni razza e tipo si sovrappongono alle voci provenienti da qualunque parte del mondo. Si possono trovare abiti e libri o mobili, nuovi o usati, oggetti di artigianato, porcellane, pelletteria e souvenir di ogni tipo a prezzi molto più accessibili che altrove. Sì, merita assolutamente un lungo e attento giro (sebbene si finisca con lo spendere molto più del previsto…).
Successivamente abbiamo preso il treno e ci siamo recati a Greenwich, andando nella direzione opposta a quella dei maratoneti che da lì erano partiti. Il borgo è davvero molto grazioso, con le basse case dalle variopinte porte e le finestre a bow-window, i caratteristici negozietti di caramelle e quelli di souvenir.
Dopo esserci recati a visitare l’osservatorio e a fare una breve passeggiata nelle strade cittadine, siamo tornati in centro ed abbiamo fatto un giro tra Carnaby Street e Marlborough, nella zona di Soho. E’ un luogo molto frequentato da giovani e turisti (italiani ovunque!), forse a causa dei numerosi negozi e numerosissimi ristorantini e pub.
Quella sera non avevamo prenotato e ci siamo recati in un graziosissimo pub accanto all’albergo, lo Swan, dove suonavano musica dal vivo ed io ho cenato con roastbeef, sidro, ed una tutt’altro che leggera ma ottima mud cake. Un locale semplice ma molto tradizionale, in cui siamo stati benissimo!
Prima di rientrare per andare a dormire, abbiamo deciso di fare un rapido giro per vedere Londra di notte. E così, siamo tornati sul Tube e abbiamo fatto un salto a Westminster e, poi, a Piccadilly Circus: che incanto!
Un consiglio, però: se avete problemi di vescica debole e non siete a cena in un locale, dopo le 23,00 potete anche farvela sotto: i pochi bagni presenti solo in alcune stazioni del Tube sono chiusi, così come chiudono tutti i McDonald, i Caffè Nero e locali simili. Anche se i gestori ci sono e stanno facendo l’inventario, potete tranquillamente morire davanti alla porta del loro locale ma restano impassibili!!!
Ahimè, la mattina dopo siamo ripartiti per fare rientro in patria, senza essere riusciti a visitare nemmeno un museo, né Nothing Hill e Portobello Road o le centinaia di altre cose interessanti che questa città offre. Vorrà dire che, prima o poi, ci dovrò tornare!
Un suggerimento: già che vi trovate a Londra, un’unica spesa può essere conveniente, e non poco, cioè quella per l’acquisto dei farmaci cosiddetti da banco della catena farmaceutica Boots. Ad esempio, quelli a base di ibuprofene, paracetamolo, acido acetilsalicilico o le classiche vitamine. Per intenderci, se da noi una confezione da 20 compresse di Tachipirina (paracetamolo) da 500 mg costa mediamente 5,00 – 6,00 euro, ho pagato una confezione da 16 compresse, sempre da 500 mg, di paracetamolo Boots 40 pence (60 centesimi), quindi 10 volte in meno che in Italia. Mi sembra che non se ne possano acquistare più di tre confezioni a persona ma, a meno che non dobbiate distribuirli a tutta la città, credo siano più che sufficienti.
Un ultimo consiglio. Noi italiani siamo estremamente riconoscibili per un difetto, tra le altre cose: stiamo sempre tra i piedi. Mi spiego meglio. Quando aspettiamo qualcuno o ciondoliamo nella hall di un albergo o in una stazione della metropolitana, o nei negozi o per strada, abbiamo la pessima abitudine di ostruire il passaggio a chiunque, di star lì come salami senza riflettere che c’è anche chi ha fretta ed è infastidito dal nostro noncurante atteggiamento un po’ menefreghista. In questi casi, ricordate di lasciare gli altri liberi di circolare, ponendovi in una posizione un po’ defilata.