Potrei essere di parte, perché conosco personalmente e stimo la scrittrice, ma non lo farò, perché non è di lei che ho intenzione di parlare, bensì della sua avventura editoriale. Ho deciso di recensire il libro scritto da Linda Di Giacomo basandomi solo sulla sinossi e l’incipit per due ragioni: la prima è che, avendo avuto il piacere di leggere due racconti scritti dalla stessa, mi sono letteralmente appassionata al suo stile ed alla sua immaginazione; la seconda è che mi stuzzica l’idea che ha avuto di fondare le indagini alla base di questa sua prima vera opera editoriale sulle capacità investigative di una grafologa come lei. Sono decisamente incuriosita dalla novità.
Per queste ragioni vi invito a visitare il sito nel quale è possibile prenotare una copia dell’opera, non ancora stampata, e in cui si può leggere qualcosa in più di quel che trovate in questo articolo. Già solo scorrendo cosa scrive di sé l’autrice, avrete modo di comprenderne l’ironia e lo spirito, che vi faranno credere e scommettere su questo suo lavoro, come ho fatto io.
E magari, verrà voglia anche a voi di sostenerla! 😉
Sono trascorsi ormai oltre due anni dal mio magnifico weekend a Lisbona ma, finalmente, ho un po’ di tempo da dedicare ad un argomento così piacevole.
Il mese ideale per visitare questa splendida città è, come abbiamo scoperto sul posto, proprio giugno, perché vi sono numerose feste dedicate a vari santi che, qui, sono molto sentite. Senza contare che i tanti alberi di jacaranda sono in fiore e donano a questa città, già di per sé molto colorata, un tocco di fascino in più.
Largo do Carmo
Intanto, alcuni consigli: se avete prenotato un hotel in centro, in zona Baixa, non avete bisogno di noleggiare un’auto (sciocchezza che, invece, noi abbiamo fatto), perché non la utilizzerete mai! La Baixa è ben collegata e il centro cittadino non è particolarmente vasto, contrariamente a quanto si può credere guardando la mappa della città, senza contare che i taxi sono davvero economici. Quindi vi conviene prendere un hotel in centro. Noi (eravamo due coppie) abbiamo alloggiato al Rossio Garden Hotel, piccolo albergo, pulito e tranquillo, in una ristretta zona pedonale, alle spalle della Praça dos Restauradores, il cui personale è estremamente gentile e disponibile. Altro consiglio: armatevi di tanta pazienza… I portoghesi sono poco organizzati per le visite ai musei e conviene sempre informarvi prima di recarvi in un posto qualsiasi. Le file sono molto lunghe e spesso si trova chiuso a causa di eventi o scioperi. Attenti ai borseggiatori che si fingono turisti, approfittando della calca, e alle molteplici persone che vi avvicinano di sera per cercare di vendervi qualunque tipo di droga!
Elevador de Santa Justa
Ad ogni modo, appena giunti in hotel, di venerdì in tarda mattinata, il tempo di una rapida doccia ed abbiamo iniziato la nostra prima passeggiata… Per prima cosa, ci siamo diretti all’Elevador de Santa Justa, una delle più antiche funicolari verticali ancor oggi esistenti, che collega il Rossio con il Convento do Carmo. Lunga coda di turisti, perché c’è un bigliettaio che vi vende i biglietti ed uno, direttamente alla sue spalle, che lo deve vidimare, facendo perdere il doppio del tempo. Nell’attesa, abbiamo avvistato e tenuto sotto controllo il primo borseggiatore.
Dall’alto si gode di una splendida vista della città, a 360°: ai nostri piedi la Praça do Rossio e la Baixa, in lontananza l’Alfama col suo castello ed, ancora, il fiume Tago. Il convento era chiuso per un evento, quindi non è stato possibile vederlo che dall’esterno, per poi godere un po’ del fresco del Largo do Carmo con le sue jacarande in fiore. La nostra passeggiata è proseguita, scendendo lungo le strade del Bairro Alto verso la vastissima Praça do Comércio, che affaccia direttamente sul fiume.
Convento do Carmo
Per strada abbiamo mangiato ciliegie ottime, che vendono come street food, ed abbiamo saggiato il nostro primo bicchierino di ginjinha (o ginginha, oppure ginja), un liquore locale a base di amarene che è semplicemente squisito!
Praça Dom Pedro
Praça do Comercio
Cais das Colunas
Street food a base di ciliegie
Poiché eravamo pieni di entusiasmo e il tempo era bellissimo, soleggiato, limpido e un po’ ventoso, abbiamo deciso di proseguire la nostra camminata a piedi verso il quartiere alto dell’Alfama. Questo è un quartiere bello ma un po’ pericoloso (sventato un secondo borseggio, quando ho “beccato” un finto turista già con la mano infilata nel borsello del mio compagno).
Il suo fascino, legato agli splendidi palazzi rivestiti di azulejos (maioliche smaltate) è, purtroppo, lasciato al degrado e all’abbandono, rivelando l’antica opulenza di un paese ormai decisamente povero. Pochi palazzi sono stati oggetto di manutenzione o restauro, mentre molti versano in pessime condizioni. Quelli che sono stati ripresi, però, sono di una bellezza straordinaria, così diversi l’uno dall’altro, con maioliche dai differenti colori e disegni, le ringhiere dei balconi in ferro battuto dalle più svariate fogge e lavorazioni, con influenze stilistiche talvolta meno accentuate e tal altra più marcatamente arabe. Non ci sono parole davanti a cotanta bellezza ma, nel vederla appassire, una profonda tristezza stringe il cuore.
Palazzo all’Alfama
Sé de Lisboa
Ippocampo di ceramica
Volevamo visitare la Cattedrale, il Sé de Lisboa ma, purtroppo, era chiusa, così abbiamo proseguito fino al Castelo di Sao Jorge, lungo le caratteristiche stradine ricche di botteghe di artigianato locale dove vale la pena acquistare piccoli souvenir di qualità. Noi, purtroppo, non lo abbiamo fatto e ce ne siamo pentiti, perché in nessun altro luogo abbiamo trovato oggetti così graziosi.
Il panorama che si gode da lassù, guardando in direzione del fiume, lungo le stradine tortuose su alcune delle quali si arrampicano gli sferraglianti tram, è davvero caratteristico. Palazzi bellissimi, completamente rivestiti di azulejos, si alternano a costruzioni più modeste.
L’Alfama
Intorno al calar della sera, ci siamo decisi a cercare il piccolo ristorante di Ti Natercia. Avevo letto di questo localino navigando in rete e sapevo che l’unico modo per prenotare (obbligatorio, visto che ha solo quattro tavoli) era telefonando. Così avevo chiamato qualche settimana prima di partire: io parlavo in italiano e Ti Natercia in portoghese ma ci siamo capite alla perfezione! Non è semplice trovare il locale ma alla fine ci siamo riusciti. Sapevamo che era il locale che preparava il miglior baccalà della città e si deve dire che è una fama assolutamente meritata!!!
Bacalhau folhado
Bacalhau a braz
Abbiamo mangiato bacalhau folhado, cucinato con una sorta di sugo ai peperoni ed avvolto in pasta sfoglia, bacalhau a braz, con uova e patate, bacalhau com natas, con patate e panna: tutto buonissimo ed in grandissima quantità, e poi vino e dolci, per una cifra di meno di € 15,00 a persona. L’ambiente è piccolo, accogliente e molto casalingo. Quando siamo usciti dal locale, abbiamo deciso di chiamare un taxi per tornare all’albergo (abbiamo pregato la proprietaria del locale di chiamarlo per noi) ed abbiamo scoperto che sono davvero supereconomici.
Tornati all’hotel abbiamo fatto un giro lì intorno, dove più volte hanno cercato di venderci fumo ed anche coca, per cui siamo rimasti nelle zone più affollate di locali, turisti e gioventù ed abbiamo scoperto che, proprio alle spalle del nostro albergo c’era una delle mescite di ginginha più famose della città ed abbiamo fatto una piacevolissima tappa: la Ginjinha sem rival di Eduardhino.
Ginjinha sem rival di Eduardhino
La mattina dopo ci siamo alzati di buonora ed abbiamo preso un altro taxi per recarci a visitare la Torre de Belém, uno splendido bastione cinquecentesco costruito sul fiume Tago in stile manuelino. Visitarlo all’apertura è l’ideale, perché non può ospitare un gran numero di turisti, in quanto le scale interne sono talmente strette che ad ogni livello c’è un semaforo che regola il flusso di persone in salita ed in discesa che, però, non tutti vedono, creando un terribile caos. E’ davvero una bellissima struttura che merita assolutamente una visita effettuata con calma.
Torre di Belém
Vista dall’interno della torre
Vista dalla torre
Successivamente ci siamo recati a visitare il vicino Mosteiro dos Jerònimos, anch’esso in stile manuelino. Lì abbiamo scoperto che se avessimo visitato prima questo complesso, avremmo potuto pagare un biglietto unico e ridotto per visitare tanto la torre quanto il monastero, evitando la lunghissima fila di persone che abbiamo trovato. In verità l’organizzazione dei portoghesi lascia alquanto a desiderare, quindi il mio consiglio è quello di armarsi di tanta pazienza per file, disguidi e contrattempi.
Mosteiro dos Jerònimos
Chiostro del monastero
Particolare delle polifore del chiostro del monastero
Interno della Igreja Santa Maria de Belém
Il monastero ha un bellissimo chiostro ed il refettorio è completamente rivestito di azulejos, contrastando con l’immensa chiesa, un po’ cupa, in stile gotico fiammeggiante, ma altrettanto affascinante.
Stanchi ed affamati, ci siamo recati presso la più nota pasticceria di Lisbona, Pasteis de Belém, dove hanno inventato i noti pasteis de nata, deliziosi dolci di pasta sfoglia ripieni di crema e ricoperti di cannella: una bontà infinita! In nessun altro posto li abbiamo trovati altrettanto buoni ma il luogo è davvero squallido, con enormi sale interne.
Palazzi del Barrio Alto
Il tempo di rientrare in albergo per una breve sosta e ci siamo diretti al Barrio Alto, servendoci dell’Elevador da Gloria, una caratteristica funicolare che collega la Praça dos Restauradores al belvedere di São Pedro de Alcântara, mediante una ripidissima salita. Il Barrio è un quartiere piuttosto elegante, ricco e modaiolo, con palazzi rivestiti di azulejos molto curati. Nelle stradine laterali si svolge la movida notturna, con locali e ristoranti. E’ una zona decisamente molto turistica. Al Barrio si congiunge il Chiado, ancora più ricco, decisamente chic, dove pare si vada in giro per lo shopping ma non si trova nulla di straordinario.
Palazzi del Barrio Alto
Abbiamo trascorso tutto il pomeriggio in giro per il quartiere, cenando in uno dei tanti locali presenti nelle stradine del quartiere, evitando accuratamente i locali in cui si eseguiva il fado, tipica danza locale, di cui noi non siamo cultori (sebbene, forse, valga la pena assistervi almeno una volta, anche solo per curiosità). Mangiare, bere e spostarsi in città è decisamente economico.
Ristorante Tavares – Barrio Alto
L’ultimo giorno abbiamo preso l’auto che avevamo noleggiato e ci siamo recati presso l’Oceanario, uno dei più grandi al mondo, che riproduce gli habitat di tutti gli oceani, con un’unica immensa vasca centrale alta due piani in cui convivono squali, razze, mante, pesci luna e tantissimi altri, circondata da altri piccoli acquari contenenti pesci tropicali, meduse, anemoni di mare ed altro ancora. E’ un posto magico…
Al termine della lunga visita all’Oceanario abbiamo deciso di tornare all’Alfama per acquistare qualcosa ma abbiamo scoperto che la domenica i negozi sono chiusi. Quindi, se andate, organizzatevi anche badando a questo.
Quando siamo andati a pranzo in un ristorantino ai piedi del quartiere, il proprietario ci ha detto che, se non volevamo che ci rubassero l’auto, avremmo dovuto parcheggiarla esattamente davanti alle porte del locale. Sebbene l’aspetto dei portoghesi sia apparentemente serio e addirittura arcigno, la loro gentilezza ed ospitalità è fuori dal comune (purché ci si ricordi di non provare nemmeno a par loro in spagnolo, altrimenti fingeranno di non capirvi). Parlando lentamente, ci si riesce a comprendere reciprocamente piuttosto bene, per fortuna, poiché quasi nessuno parla inglese.
Oceanario
In definitiva, questa città ha un fascino esotico e particolare ma dietro l’apparente opulenza di un piccolo quartiere più elegante e turistico, si nascondono tanta miseria ed un’infinita tristezza, si percepisce la povertà, la miseria. Furti, borseggi, spaccio, palazzi abbandonati… Lontano dalle zone più movimentate è meglio non muoversi da soli, specie di sera.
Alcuni giorni fa sono stata al Marta, Museo Archeologico di Taranto, uno dei musei più importanti ma meno conosciuti d’Italia.
La collezione più famosa è quella degli ori antichi, forse la più ricca al mondo, ma non meno interessanti sono le collezioni di vasellame di varie epoche, mosaici romani e monete d’argento e d’oro.
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Purtroppo uno dei tre piani non è ancora visitabile, in quanto i nuovi allestimenti sono solo parzialmente completati.
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C’è da dire, però, che l’attesa del completamento vale assolutamente la pena: i vasti spazi espositivi, con parziali ricostruzioni dei ritrovamenti, le teche ben distanziate ed illuminate con didascalie chiare ed i supporti multimediali presenti in vari ambienti rendono la visita a questo museo piacevole e coinvolgente.
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Abbiamo trascorso tre ore all’interno di questi ambienti ma avremmo potuto soffermarci anche di più, in quanto il tempo è passato in un attimo. Il personale addetto al museo è discreto ma, all’occorrenza, gentile e disponibile, mai privo di garbo e di un cordiale sorriso.
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Mi complimento vivamente con la Direzione di questa struttura, augurandomi che venga maggiormente pubblicizzata, perché è davvero un’eccellenza del Sud Italia che è giusto conoscere.
Alcuni anni fa è nata a Salerno un’associazione culturale scaturita dalla brillante idea di intrattenere i bambini non solo e non tanto con i soliti giochi da ludoteca ma con una serie di attività culturali create su misura per loro, come letture animate, letture di fiabe in altre lingue, esperimenti scientifici per bambini, cene con delitto in cui i bambini devono scoprire chi è il ladro o il malfattore e così via. Quest’associazione si chiama Saremo Alberi. Libroteca ed il lavoro appassionato ed entusiastico dei suoi componenti, Renato De Rosa, Silvia Aliberti, Francesco Cicale, Ida Galdi, Angela Giuseppina Tenuta, e del loro presidente Vincenzo Aliberti traspare efficacemente in tutte le attività ed iniziative che mettono così pregevolmente in piedi. Confesso che più volte ho portato le mie figlie presso la loro Libroteca (termine che chiarisce inequivocabilmente la vocazione di questo particolarissimo laboratorio-ludoteca culturale) e che sia loro sia io siamo ben felici ogni volta che possiamo partecipare a queste divertenti attività. Sì, possiamo. Perché alcune attività sono rivolte ai genitori, come gli stage formativi per insegnare a noi adulti le tecniche di lettura animata, per poter meglio coinvolgere i nostri figli (ed eventualmente i loro amichetti) quando leggiamo loro qualche racconto.
Porto di Parole è una delle varie iniziative di quest’associazione ed è giunta, ormai, alla sua terza edizione. Si tratta di un ciclo di eventi che si svolgono all’interno del territorio provinciale. Per meglio comprendere di cosa si tratta, ho intervistato il presidente dell’associazione Saremo Alberi. Libroteca, Vinvenzo Aliberti:
<<Porto di Parole, evento progettato dall’Associazione Saremo Alberi, quest’anno non è un evento singolo, bensì un percorso che ha coinvolto vari comuni in diversi momenti dell’anno: ad aprile abbiamo avuto un corso di formazione sulla tecnica narrativa del cantastorie (tenuto da Oreste Castagna di Rai YoYo) a Pellezzano. A Baronissi un grande momento di piazza con le scolaresche e quattro spettacoli di teatro narrazione con Oreste Castagna e Danilo Bertazzi (un altro personaggio di Rai YoYo). All’università di Salerno abbiamo organizzato un convegno/tavola rotonda con tutti i Comuni coinvolti e alcuni dei personaggi precedentemente menzionati per presentare il percorso racchiuso nell’anno, focalizzando l’attenzione sull’approccio narrativo della narrazione. E siamo al 5 e 6 giugno… ovvero Salerno, Porto di Parole: uno dei principali eventi all’interno del percorso. Tantissimi artisti locali e nazionali approderanno nei due giorni salernitani per rendere la zona di Santa Margherita un grande palcoscenico di narrazioni. Spettacoli, giochi, laboratori e… libri coloreranno il luogo coinvolto. Buonabitacolo (27 giugno) e Acciaroli (25 luglio, tappa finale) saranno prtogonisti dell’estate di Porto di Parole. L’idea è quella di trasformare dei luoghi già di per sè attrattivi in villaggi della narrazione per una giornata.
Porto di Parole è una manifestazione che è nata grazie a Saremo Alberi con l’intento di avvicinare i bambini e i ragazzi con le loro famiglie alla dimensione narrativa e ai diversi approcci attraverso cui essa si esprime. La terza edizione è un punto di svolta dell’intera iniziativa perché, con una rete istituzionale consolidata e un crescente coinvolgimento artistico, il territorio diventa realmente protagonista di un grande evento.
La prima edizione, del 2013, si è tenuta solo a Salerno; la seconda (2014) è approdata anche ad Acciaroli; questa terza, costituita da un lungo percorso di eventi, avrà termine il 25 luglio ancora una volta ad Acciaroli. La quarta… ovviamente l’anno prossimo!
Un’anticipazione per il 5 e 6 giugno: verrà Gek Tessaro, uno dei maggiori scrittori e illustratori di libri per ragazzi, ed il 6 giugno ci sarà Ciccio Pasticcio dello Zecchino d’Oro>>
Credo che meglio di qualsiasi mio commento abbia parlato l’entusiasmo dell’intervistato. Dal canto mio, che ho avuto più volte modo di apprezzare l’impegno ed il lavoro mirabilmente svolto da tutta l’equipe di Saremo Alberi. Libroteca, posso solo affermare che partecipare agli eventi da loro organizzati è piacevole, interessante e divertente in primo luogo per i bambini ma, anche, per i genitori. Senza contare che, finalmente, si può scegliere un intrattenimento che stimoli la mente e crei momenti di aggregazione, senza rinunciare all’aspetto ludico e ilare del gioco.
Come ogni anno, da 15 anni a questa parte, a Salerno si rinnova il tradizionale appuntamento con la Mostra della Minerva, da venerdì 17 a domenica 19 aprile. Si tratta di una mostra-mercato della durata di tre giorni completamente dedicata al florovivaismo. Organizzata dall’associazione Hortus Magnus con il patrocinio del Comune di Salerno, sfrutta lo splendido scenario della Villa Comunale, che si arricchirà di espositori che venderanno ogni sorta di pianta: dagli arbusti, ai fiori multicolori, dalle cactacee alle piantine aromatiche e alle spezie. Si terranno, inoltre, incontri in cui si parlerà di botanica, dell’arte di disporre i fiori e si mostrerà come intagliare frutta e ortaggi. Si terranno incontri didattici ed è previsto un annullo postale speciale per gli appassionati di filatelia. Saranno organizzate gite fuori porta per vedere parchi semisconosciuti (come quello della bellissima Villa d’Ayala, a Valva) e si prevedono escursioni cittadine alla scoperta delle nostre bellezze nascoste, come il giardino della Minerva, o al museo degli strumentari chirurgici. Insomma, un’ottima occasione per conoscere o riscoprire il piacere che dà il contatto con la natura, non solo quella selvatica ma anche quella amorevolmente assistita, un modo per ritrovare il contatto sereno con noi stessi, attraverso la meditazione e la distensione che si può ottenere dedicandosi alle piante.
In Italia abbiamo un inestimabile patrimonio storico-artistico ed è cosa nota. Non esiste città o paese che non presenti incredibili testimonianze del nostro ricchissimo ed affascinante passato. Se i politici avessero la lungimiranza di puntare su questa risorsa oltre che, eventualmente, su quella agroalimentare, per basarvi l’economia del nostro Paese, l’Italia sarebbe uno Stato tutt’altro che in crisi. Quando ci rechiamo all’estero, vediamo che chi ha anche solo due sassi di epoca romana in mezzo ad una campagna sperduta, pone quei due sassi come interessante tappa di giro turistico, ovviamente a pagamento, e li tiene in gran conto, ben protetti e conservati. In Italia, invece, siamo talmente abituati ad inciampare ovunque in resti di epoca greca, etrusca e romana, ad esempio, che preferiamo lasciare andare tutto in malora, come sta accadendo, tra l’altro, agli scavi di Pompei. Ma anche volendo tralasciare casi così eclatanti, ovunque si trovano testimonianze di questo scempio. Passeggiando, ad esempio, sul lungomare di Ladispoli, ci si imbatte in testimonianze di età romana lasciate non solo senza alcuna protezione dalle intemperie e dal salnitro proveniente dal mare ma, anche, senza protezione dal non improbabile vandalismo di ragazzini che vi si possono arrampicare per un selfie o, peggio, per portar via un souvenir… Si vedono pavimentazioni in mosaico parzialmente ricoperte di sabbia e fango, resti di muri in opus reticulatum e non vi è traccia, nemmeno, di un cartello che spieghi di cosa si tratti e che indichi l’epoca di appartenenza di tali reperti. Francamente trovo tutto questo davvero avvilente.
Perché, mi domando, non concentriamo i nostri sforzi non solo nella salvaguardia del nostro patrimonio ma, anche, nello sfruttamento di questa miniera inesauribile rappresentata dall’intero territorio italiano? Conosco restauratrici ridotte a fare le babysitter per sopravvivere, un’altra bravissima restauratrice che viene chiamata per interventi in emergenza alla quale viene detto troppo spesso, però, che non si sa quando potrà essere pagata per il suo lavoro altamente qualificato. Questa stessa eccellente professionista, dopo decenni di attività, sta accarezzando l’idea di chiudere bottega. Tutto questo è vergognoso! Quanto lavoro e quanta ricchezza sprecate! Dovremmo aprire più scuole di restauro specializzate (architettura, scultura, pittura, arti cosiddette minori) ed utilizzare il personale così qualificato per la manutenzione e conservazione di quest’immenso patrimonio. Dovremmo tutelare e valorizzare tali risorse, sistemare musei ed allestimenti, organizzare convegni internazionali, pubblicizzare all’estero tutto ciò che abbiamo (anni fa ho accompagnato una famosa designer americana a visitare gli scavi di Pompei: non li aveva mai nemmeno sentiti nominare…). E poi dovremmo formare guide turistiche, incentivare la formazione di personale proveniente da istituti alberghieri che siano in grado di supportare alberghi e ristoranti, aumentare la capacità ricettizia e potenziare i collegamenti ed i mezzi di trasporto per facilitare gli spostamenti degli stranieri ed i flussi turistici in generale. La potenziale affluenza di viaggiatori che attraverserebbe il nostro Paese potrebbe rendere l’Italia uno degli Stati più ricchi d’Europa, in barba alla crisi. Ma, purtroppo, questo è il Paese dei furbi e degli sprechi, dei politicanti che stanno distruggendo e mandando in rovina questa miniera. Assistiamo quotidianamente al lento degrado e alla distruzione del Museo Chiamato Italia…
Oggi ho deciso di mostrare la lezione che ho impostato per i miei alunni di prima media: cos’è un disegno simmetrico e come si realizza a mano libera; la tecnica della sfumatura colorata tramite sovrapposizione di tratteggi di differenti matite. Ho approfittato del carnevale imminente per mostrare come disegnare una maschera, partendo dall’asse di simmetria centrale. Una volta predisposta la forma di base iniziale, si può arricchire con vari particolari e dettagli e, dopo, passare i contorni con un colore grigio.
Per quanto riguarda il colore, si iniziano a riempire gli spazi con tratteggi di colore leggeri, sovrapponendo tre tinte leggermente differenti o anche contrastanti e seguendo l’andamento delle linee del disegno. Una volta completata la colorazione, con un colore scuro si possono delineare alcuni contorni, per far risaltare il disegno… E il gioco è fatto!!!
Oggi, per la prima volta, mi sono imbattuta in maniera del tutto casuale nelle immagini che rappresentavano Alexa Meade, un’artista assolutamente geniale, all’opera.
Osservando lo scatto fotografico di un’opera terminata, non si riesce assolutamente a cogliere quale sia la novità o la particolarità dell’elemento pittorico. È solo osservando l’immagine allontanandosi dal punto di vista della fotocamera e vedendola in un insieme spaziale più esteso, oppure osservando uno scatto ottenuto durante la lavorazione dell’opera o, ancora, attraverso un video, che si riesce a comprendere ciò che, altrimenti, sfugge al nostro occhio.
Questa giovane artista ha invertito le regole della prospettiva. Se durante tutta la storia dell’arte, a fasi alterne, si è cercato di rendere la tridimensionalità su un elemento bidimensionale, quale è la tela, Alexa Meade fa l’esatto opposto, rendendo bidimensionale all’occhio ciò che in realtà è tridimensionale: il corpo umano. Come lei stessa afferma, il corpo è la sua tela. In questo modo ottiene un effetto tròmpe l’oeil vivente, ingannando il nostro cervello attraverso il sapiente uso dei colori acrilici, stesi a larghe pennellate con forti effetti chiaroscurali, direttamente sui suoi modelli.
Ciò che distingue un artista da un bravo artigiano è, come sempre, l’idea che sta alla base dell’opera, la capacità di stravolgere le regole. Per questa ragione, Alexa Meade va considerata un’artista degna di questo nome.