
Faccio una premessa: ritengo che, troppo spesso, le persone preferiscano visitare luoghi esotici o lontani piuttosto che esplorare le bellezze naturalistiche o storiche dei territori che le circondano. Personalmente, ho girato molto l’Italia ma credo di non essere riuscita a vedere nemmeno un decimo di ciò che meriterebbe d’esser scoperto e, pertanto, non ho finito! Ciò nonostante, di quando in quando capita uno strappo alla regola per visitare luoghi più lontani. Erano nove anni che non mi allontanavo dall’Italia ma ho avuto l’occasione di andare a Londra e, francamente, non me la sono lasciata scappare. Tre giorni e mezzo, a cavallo dell’ultimo weekend di aprile, per iniziare solamente ad assaporare una città incredibile (e costosissima) ma ne è valsa la pena. Fortuna ha voluto che il tempo abbia assistito me e i miei compagni di viaggio, senza farci prendere nemmeno una goccia d’acqua. Atterrati all’aeroporto di Gatewik a mezzogiorno, siamo arrivati al Corus Hotel, di fronte ad Hyde Park, ad ora di pranzo. La fama degli hotel inglesi non è delle migliori ma quest’albergo, pur avendo stanze decisamente piccole ed essenziali, è pulito e il personale è davvero molto cortese. Mangiato un sandwich al volo, ci siamo fiondati alla fermata della metropolitana di Lancaster Gate ad acquistare ognuno la propria Oyster Card.

Si tratta di una carta ricaricabile con la quale viaggiare in autobus e metropolitana, che lì chiamano Tube per via della forma delle sue gallerie. La comodità , se ci si sposta con una discreta frequenza nell’arco della giornata e con più mezzi è che, una volta raggiunto il limite di spesa di 6 sterline in un giorno, il resto dei viaggi per quello stesso giorno è gratuito. Si deve solo fare attenzione a passare la tessera sul lettore una sola volta all’entrata ed una all’uscita. Se si sbaglia vengono scalate diverse sterline come ammenda. In genere, però, in caso di errore, è sufficiente segnalarlo al personale addetto che risolve e cancella la multa. La card costa 5 sterline ma dura tutta la vita. Quindi, in teoria, se io dovessi tornare a Londra tra 10 anni, potrei semplicemente ricaricare la mia card ed utilizzarla normalmente.

Ho, quindi, iniziato le mie esplorazioni!!! Quel primo giorno, non avendo più molto tempo a disposizione, sono andata a visitare Hamleys, negozio di giocattoli grande ben 7 piani, pensando alle mie figlie. Vi si vendono giochi che si trovano comunemente anche da noi (ma lì sono più costosi…) e giochi tradizionali come i Teddy Bear o i Paddington, orsetti di peluche. O anche trenini e modellini di ogni foggia e dimensione o, ancora, giocattoli in legno. Vi erano anche diverse “statue”  ad altezza naturale rappresentanti i membri della famiglia reale, costruite con i mattoncini Lego.

Poi ho girovagato per Regent Street e Piccadilly Circus, la famosa piazza con i suoi mega cartelloni pubblicitari luminosi, la prima al mondo in cui si sono viste le insegne luminose, con l’avvento della corrente elettrica. Lungo i bordi dei marciapiedi, ovunque, è riportata la scritta che indica di guardare a destra quando si attraversa la strada, per ricordare a noi continentali che il senso di marcia, lì, è inverso rispetto al nostro e si deve far attenzione a non dimenticarlo quando si attraversa la strada.

Mi ha colpito vedere che, a Londra come da noi in Campania, nessun pedone aspetta il verde per attraversare! Chi l’avrebbe detto?! I negozi del centro sono tutti enormi e insegne di negozi italiani campeggiano ovunque. C’è anche una catena di bar, i Caffè Nero, che si trovano quasi ad ogni angolo di strada, dove si può bere un discreto espresso. La cosa strana è stata che, sebbene avessi perso la mia cartina, non ho avuto alcuna difficoltà ad orientarmi, come se avessi sempre vissuto a Londra. Credo che questo fenomeno sia dovuto al fatto che la varietà delle strutture architettoniche, l’ampiezza delle strade, gli immensi negozi offrono talmente tanti riferimenti visivi che perdersi in quella città è quasi impossibile!
La sera, un po’ stanca anche per via del volo e perché mi ero dovuta svegliare molto presto, con i miei compagni di viaggio sono andata a cena in un pub vicino all’albergo, che avevamo prenotato prima di partire: il Mitre…

Ma quando siamo arrivati abbiamo scoperto che avevano smarrito la nostra prenotazione e ci hanno fatto accomodare in una specie di sottoscala buio e puzzolente. Inoltre avevamo un’amica intollerante ai cibi piccanti e, sebbene fossero stati avvisati, le hanno portato solo piatti piccanti. È un locale che vi sconsiglio!
Comunque, per la prima volta, ho bevuto il famoso sidro di mele inglese. All’inizio mi è parso un po’ strano, una sorta di vino quasi trasparente, secco e frizzante, con una gradazione alcolica bassa ma ingannevole. È un sapore a cui ci si deve abituare. Ma poi mi è piaciuto!!!
Il giorno dopo, avendo acquistato i biglietti per i bus Hop on Hop off, autobus turistici a due piani aperti sopra, abbiamo fatto un giro del centro cittadino.

Su questi bus vengono forniti degli auricolari con cui ascoltare le spiegazioni nella lingua prescelta ed anche impermeabili da usare in caso di pioggia. Si può decidere di scendere dove si vuole, gironzolare un po’ e riprenderne un altro alla stessa fermata oppure ad un’altra (spesa a mio avviso evitabile, anche perché non è propriamente economico).

Abbiamo fatto tappa a Trafalgar Square, dove c’era un’allegra manifestazione e tanta musica, con un gruppo che suonava dal vivo le canzoni dei Beatles, abbigliati e pettinati come loro. Molto bravi, creavano un’atmosfera decisamente suggestiva.

Poi, con un tradizionale autobus londinese, siamo andati a pranzare a Covent Garden. È un posto bellissimo, pieno di negozietti e bancarelle, con artisti di strada che si esibiscono in mezzo alla folla e venditori di jacked potatoes, patate intere cotte al forno (in teoria cotte nella cenere), poi spaccate e condite a piacimento, da mangiare seduti sui bordi dei marciapiedi mentre si assiste ad uno degli spettacoli itineranti.

Davvero un posto affascinante. Dopo ci siamo recati alla London Tower ed al Tower Bridge, luoghi prettamente turistici. Ne abbiamo approfittato per fare qualche scatto fotografico anche noi. Ciò che mi ha favorevolmente colpito è con quanta semplicità convivano edifici storici e grattacieli moderni, che riescono ad integrarsi in maniera assolutamente  naturale.
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Abbiamo preso il battello con lo stesso biglietto del bus turistico e siamo arrivati, via Tamigi, a Westminster. Sul nostro battello c’era una guida, Ben, che parlava solo inglese, simpaticissima: spiegando tutti i luoghi che vedevamo scherzava sornione e ci ha fatto morire dal ridere.
                     
A Westminster abbiamo fatto le classiche foto del Big Ben, dell’abbazia, e con un bobby, il poliziotto locale, che si è simpaticamente prestato. Poi, abbiamo attraversato a piedi il St. James Park, fino a raggiungere Buckingham Palace. Il parco è splendido, pieno di scoiattoli abituati a prendere cibo dai passanti, con un laghetto abitato da cigni e diversi tipi di anatre selvatiche. In questo periodo dell’anno gli alberi sono in fiore e lo spettacolo è davvero notevole.
             
La sera, ci siamo recati direttamente al Black Friar, uno splendido pub costruito nel 1910 nell’omonimo quartiere, in stile Art Decò.
                 
Anche questo era stato prenotato dall’Italia e, stavolta, non abbiamo avuto problemi. Abbiamo mangiato il classico fish & cips (pesce e patate fritte), le pies (tortine rustiche ripiene di carne o verdure), gli onion rings (anelli di cipolle fritti) e non poteva mancare il famoso pudding, un dolce compatto e decisamente molto zuccherino dal sapore tanto gradevole quanto particolare. Avevo sentito dire che la cucina inglese è terribile ma, in realtà , non l’ho trovata così male. Certo, se si vuol mangiare cucina italiana all’estero il discorso cambia! Ma trovo piuttosto sciocco vedere un paese straniero senza cercare di assaporarne anche gusti e profumi!
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La mattina seguente, causa London Marathon che bloccava il centro cittadino, abbiamo preso la metropolitana e ci siamo recati in un quartiere periferico assolutamente fantastico, che consiglio a tutti i ragazzi e giovani che amano la parte più anticonformista della città , quella considerata più cool: Camden Town. Le basse e coloratissime costruzioni sono decorate a rilievo con la trasposizione gigante degli oggetti che si vendono al piano terra.
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Lì si trovano i canali di Little Venice ed il meravigliso, multietnico, coloratissimo mercatino di Camden Lock. Sono rimasta affascinata, forse, più da questo luogo che da tutto il resto della città . Non è possibile descriverlo: bisogna andarci! C’è una vasta area del mercato in cui cuochi provenienti da ogni parte del mondo cucinano le loro prelibatezze da mangiare mentre si gironzola nei meandri che ricordano una casbah, tra aree all’aperto e al chiuso, su più livelli e gallerie. Si può saggiare di tutto, dalla nostrana pizza al kebab, dalla cucina tahilandese agli hot dog, dalla cucina cinese a quella vietnamita, spagnola o araba, mentre odori e sapori si mescolano, e visi e lineamenti di ogni razza e tipo si sovrappongono alle voci provenienti da qualunque parte del mondo. Si possono trovare abiti e libri o mobili, nuovi o usati, oggetti di artigianato, porcellane, pelletteria e souvenir di ogni tipo a prezzi molto più accessibili che altrove. Sì, merita assolutamente un lungo e attento giro (sebbene si finisca con lo spendere molto più del previsto…).
Successivamente abbiamo preso il treno e ci siamo recati a Greenwich, andando nella direzione opposta a quella dei maratoneti che da lì erano partiti. Il borgo è davvero molto grazioso, con le basse case dalle variopinte porte e le finestre a bow-window, i caratteristici negozietti di caramelle e quelli di souvenir.
      
Dopo esserci recati a visitare l’osservatorio e a fare una breve passeggiata nelle strade cittadine, siamo tornati in centro ed abbiamo fatto un giro tra Carnaby Street e Marlborough, nella zona di Soho. E’ un luogo molto frequentato da giovani e turisti (italiani ovunque!), forse a causa dei numerosi negozi e numerosissimi ristorantini e pub.
Quella sera non avevamo prenotato e ci siamo recati in un graziosissimo pub accanto all’albergo, lo Swan, dove suonavano musica dal vivo ed io ho cenato con roastbeef, sidro, ed una tutt’altro che leggera ma ottima mud cake. Un locale semplice ma molto tradizionale, in cui siamo stati benissimo!

Prima di rientrare per andare a dormire, abbiamo deciso di fare un rapido giro per vedere Londra di notte. E così, siamo tornati sul Tube e abbiamo fatto un salto a Westminster e, poi, a Piccadilly Circus: che incanto!
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Un consiglio, però: se avete problemi di vescica debole e non siete a cena in un locale, dopo le 23,00 potete anche farvela sotto: i pochi bagni presenti solo in alcune stazioni del Tube sono chiusi, così come chiudono tutti i McDonald, i Caffè Nero e locali simili. Anche se i gestori ci sono e stanno facendo l’inventario, potete tranquillamente morire davanti alla porta del loro locale ma restano impassibili!!!
Ahimè, la mattina dopo siamo ripartiti per fare rientro in patria, senza essere riusciti a visitare nemmeno un museo, né Nothing Hill e Portobello Road o le centinaia di altre cose interessanti che questa città offre. Vorrà dire che, prima o poi, ci dovrò tornare!
Un suggerimento: già che vi trovate a Londra, un’unica spesa può essere conveniente, e non poco, cioè quella per l’acquisto dei farmaci cosiddetti da banco della catena farmaceutica Boots. Ad esempio, quelli a base di ibuprofene, paracetamolo, acido acetilsalicilico o le classiche vitamine. Per intenderci, se da noi una confezione da 20 compresse di Tachipirina (paracetamolo) da 500 mg costa mediamente 5,00 – 6,00 euro, ho pagato una confezione da 16 compresse, sempre da 500 mg, di paracetamolo Boots 40 pence (60 centesimi), quindi 10 volte in meno che in Italia. Mi sembra che non se ne possano acquistare più di tre confezioni a persona ma, a meno che non dobbiate distribuirli a tutta la città , credo siano più che sufficienti.
Un ultimo consiglio. Noi italiani siamo estremamente riconoscibili per un difetto, tra le altre cose: stiamo sempre tra i piedi. Mi spiego meglio. Quando aspettiamo qualcuno o ciondoliamo nella hall di un albergo o in una stazione della metropolitana, o nei negozi o per strada, abbiamo la pessima abitudine di ostruire il passaggio a chiunque, di star lì come salami senza riflettere che c’è anche chi ha fretta ed è infastidito dal nostro noncurante atteggiamento un po’ menefreghista. In questi casi, ricordate di lasciare gli altri liberi di circolare, ponendovi in una posizione un po’ defilata.
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