La logica del vaccinato.

Negli ultimi mesi si sta assistendo ad una sempre più accesa guerra tra pro vax e no vax, pro green pass e contro green pass, libertà di scelta o coercizione. Secondo me, però, per dirimere la questione non c’è bisogno di essere statisti, giuristi o virologi, quando sarebbe sufficiente usare la cara, vecchia e sana logica.

Iniziamo col dire che chi è vaccinato ritiene che i vaccinati non contagino, per cui all’interno dei locali stanno tranquilli solo in compagnia di altri vaccinati, mentre ritengono che i non vaccinati li possano contagiare, per cui li temono e non li vogliono vicini.

Perché li temono? Perché pensano che un non vaccinato può contagiare loro, vaccinati.

Una volta contagiato, però, anche il vaccinato, a sua volta, diventa contagioso.

Ma allora la prima affermazione diviene falsa, o no? Cioè anche un vaccinato, se contagiato, può contagiare.

Ergo i vaccinati dovrebbero temere il contagio sia dai vaccinati sia dai non vaccinati.

Dunque perché solo i non vaccinati sarebbero pericolosi? Perché i vaccinati li temono?

E soprattutto, qualcuno mi spiega, a questo punto, a cosa serve un vaccino che fa infettare comunque chi lo fa e non lo lascia libero di muoversi e da ogni paura di contagio?

Eppure dovrebbero essere i non vaccinati ad essere più esposti al contagio ed a forme gravi di malattia e, quindi, ad avere paura dei contagi.

Detto ciò, francamente non comprendo la guerra a chi vuole essere libero di non vaccinarsi!

Riflessione della domenica.

Il gruppo A ha ricevuto l’acqua benedetta; il gruppo B, che non vuol credere alla nuova religione di Stato, no.

Il gruppo A riceve il lasciapassare; il gruppo B ne riceve uno provvisorio solo se si fa tamponare ogni 48 ore.

Il gruppo A e il gruppo B si possono ungere e possono ungere a loro volta in egual misura.

Se il gruppo A si unge e unge, non venendo più tamponato, non si sa (a meno di segni molto evidenti), il gruppo B se si unge sarà riconosciuto e fermato immediatamente, per cui non potrà ungere a sua volta.

Risultato: il gruppo A ungerà indiscriminatamente, senza essere censito e sentendosi salvatore dell’umanità; il gruppo B non potrà far danni ma sarà additato come irresponsabile.

Quando l’unzione si diffonderà, essendo stati tamponati solo quelli del gruppo B, si dirà che NESSUNO è stato trovato unto nel gruppo A (per forza: se non lo controlli non lo saprai mai) ma solo nel gruppo B che, quindi, sarà nuovamente accusato di aver diffuso l’unzione e sarà ritenuto responsabile delle nuove serrate che si stanno già preparando.

Ma io mi domando e vi domando: cui prodest? Perché mettere tutti contro tutti?

Secondo me l’unico motivo è quello di distrarci da altro: manovre politiche ed economiche che ci metteranno in ginocchio, mentre noi siamo intenti a farci la guerra tra poveri, invece di unirci e detronizzare l’oligarchia.

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito.

Preferirei di no.

Ho appena terminato la lettura del libro Preferirei di no – Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, di Giorgio Boatti. Si tratta di un saggio e come un saggio è scritto.

Ho trovato il contenuto estremamente interessante ma, confesso, lo stile della narrazione vagamente antiquato, spesso noioso e un po’ soporifero. Direte: “Certo. Cosa pretendi? È un saggio!”

Eppure ciò che ci racconta questo libro è davvero affascinante: gli intrighi di potere, le rivalse degli invidiosi, la furbizia di chi segue la marea per restare a galla e, contemporaneamente, il rigore e il senso morale di chi non si piega nemmeno di fronte agli sberleffi di colleghi e, talvolta, di parenti e amici.

Mi domando, dunque, perché un saggio debba necessariamente essere noioso. Forse (ma io non sono una scrittrice né una saggista, quindi prendete con le pinze la mia considerazione), un racconto fluido, come se si fosse trattato di un romanzo, in cui si intrecciano le vicende professionali e di frequente anche personali di questi professori, sullo sfondo di un Paese soffocato dal Fascismo e dalle leggi liberticide, avrebbe avuto ben altro respiro.

Leggendolo, mi sono tornate alla mente le meravigliose lezioni di Storia dell’Architettura tenute dal Prof. Giulio Pane presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli Federico II, che seguivo da matricola e di cui spesso sento la nostalgia. Spiegando l’evoluzione nella critica storica ci raccontò dello storico Ranke, che a metà Ottocento spiegò che, a suo avviso, il compito dello storico fosse di presentare i fatti “wie es eigentlich gewesen”, cioè come questi erano andati. Insomma, una sorta di lista della lavandaia in cui lo storico non deve inserire il proprio giudizio personale, dimenticando che è impossibile non inserire un giudizio, già solo nella scelta dell’argomento da trattare o di quale documento proporre o nascondere, per quanto privo di commento.

Ecco, questo saggio mi ha fatto tornare in mente Ranke. Peccato, perché la storia poteva e può essere avvincente.