Arabafelicissima: perché?

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Recentemente mi è stato chiesto il perché del nome del mio blog. Ora ve lo spiego.

Nella vita di ognuno di noi capita di incorrere in traversie ma non tutti ne usciamo allo stesso modo. C’è chi non riesce più ad uscirne, chi ne viene fuori con le ossa rotte, chi cerca sempre di stare a galla e barcamenarsi, chi non ha il coraggio di fare scelte difficili ma necessarie, chi osa (talvolta va bene, tal altra male ma almeno non resta immobile), chi cambia la propria vita. Io sono stata per molto, troppo tempo immobile, bloccata, senza riuscire a prendere decisioni che potessero dare una svolta alla mia vita, in un modo o nell’altro, spaventata da ciò che poteva accadere. Ho lasciato che mi terrorizzassero. Fino a che… Ho detto basta! Ho dato un taglio netto col passato (non senza difficoltà e dolore o ripensamenti), e la mia vita è migliorata. Non perché guai non ce ne siano più (quelli purtroppo non mancano mai) ma per la semplice ragione che per la prima volta ho preso decisioni mie e solo mie, contro tutto e contro tutti, cercando di seguire finalmente i miei bisogni e, di conseguenza, quelli delle mie figlie (non esistono figli felici con madri frustrate e insoddisfatte). Sono diventata il comandante del mio vascello, la mia vita, e navigo sicura e decisa in acque talvolta calme, altre volte in tempesta, facendo attenzione e riflettendo ma senza più tentennamenti o timori inutili.

E mi sono resa conto di essere rinata dalle mie ceneri, come la mitologica araba fenice ed essere, finalmente, felice. Anzi, di più: felicissima!!! 😊

Sono tornata… Ovvero: io speriamo che me la cavo

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Finalmente, dopo tanti mesi, ho deciso di tornare a scrivere… Poiché scrivo su questo blog esclusivamente per hobby, la frequenza dei miei articoli segue il mio umore, la mia voglia di scrivere ed il tempo che ho a disposizione. Dopo tutto, se così non fosse sarebbe un lavoro, piuttosto che un hobby! 😜

Oggi ho voglia di scrivervi della mia bellissima esperienza di quest’anno. Dovete sapere che anch’io faccio parte della larga schiera di docenti assunti la scorsa estate e mi sono trovata a fare l’anno di prova in una scuola di Castellammare di Stabia. Sono arrivata in un luogo che non conoscevo, in una scuola messa non proprio bene, trovando tante cose che non funzionavano benissimo e, secondo la mia prima impressione, un’apparente ostilità (ma confesso che la prima ad essere ostile ero io nei loro confronti, vedendo che le cose funzionavano in maniera così disordinata). Eravamo in tanti ad essere nuovi: 5 neoimmessi, diversi docenti che per la prima volta erano giunti di ruolo in quella scuola, alcune assegnazioni provvisorie, tutti un po’ spaesati… Persino la dirigente era neoassunta ed aveva preso servizio insieme a noi. La situazione familiare e personale di molti allievi era veramente difficile, scarsissime la disciplina e l’educazione (non solo dei ragazzi ma anche di parte del personale…). Insomma, dopo i primi giorni il mio unico pensiero era come scappare via da quella scuola. Ma, come nel film tratto dal libro Io speriamo che me la cavo, di Marcello D’Orta, ora che sta finendo l’anno e so che dovrò andar via, lascio in quella scuola un pezzo del mio cuore. Ma procediamo con ordine…

Cos’è avvenuto, dopo quei terribili primi giorni di lezione? Forse nulla di straordinario, o forse di straordinario c’era tutto. Dipende da quale punto di vista si osservano le cose… Talvolta, è semplicemente la vita ad essere straordinaria, come lo è la capacità di molti di noi di saper solidarizzare nelle situazioni difficili, la capacità degli spiriti affini di sapersi conoscere e riconoscere tra la gente. Ma mai avrei pensato di trovarne così tanti e così magnifici da poter chiamare amici, non più semplicemente colleghi, come invece è stato. Persone straordinarie che ho imparato ad apprezzare un po’ alla volta, non senza qualche incomprensione o dissapore, come è naturale che sia, ma con la volontà e la serenità di saper andare oltre. Ho riso con un gruppetto di loro fino alle lacrime, con un affetto profondo che ci ha legato; ho fatto conoscere il mio spirito battagliero che ho riconosciuto anche in tanti colleghi; ci siamo spalleggiati nelle difficoltà, abbiamo condiviso amarezze e trionfi, la gioia di veder progredire alcuni alunni difficili e il dispiacere di non riuscire ad aiutarne altri. Insomma, siamo diventati una squadra, una famiglia bella, grande e numerosa. Ho conquistato la fiducia, la stima e la simpatia di tanti alunni (insegnando in 9 classi, sono circa 200!!!) e contemporaneamente mi sono affezionata a quei ragazzi come fossero dei figli. Ragazzi pieni di energia, di dolcezza, di meraviglia ma, anche, pieni di dubbi, incertezze, insicurezza, solitudine. Ragazzi bisognosi di amore come di regole, di esempi come di conforto. Ed infine non posso dimenticare una splendida persona che ho avuto il piacere di conoscere in questo percorso, anche se ho avuto minori possibilità di contatto per via dei differenti impegni. Mi riferisco alla dirigente, una donna solare, piena di umanità ma assolutamente indomita, capace di far fronte alle numerose sfide di questa scuola con fermezza ma con giustizia e con il sorriso. Alla stima che ho provato e provo nei suoi confronti si unisce una istintiva simpatia, a pelle, una simpatia che mi fa dire “A me ‘sta donna piace proprio assai!

Potrei raccontare decine di aneddoti ma nulla renderebbe l’incanto che si è creato, anzi potrebbe banalizzarlo. Così mi fermo qui, accennando appena agli abbracci carichi di sincero affetto e alle lacrime di commozione di questa mattina, quando noi neoimmessi abbiamo terminato di presentare il nostro lavoro davanti al comitato di valutazione e abbiamo realizzato che tra pochi giorni, alla fine degli esami, quest’avventura sarà giunta al suo termine. Mi sento, ancora una volta, fortunata. La vita non finisce mai di sorprendermi e mostrarmi quanto il mondo sia ricco di persone meravigliose, nonostante tutto. E dunque, una parola sola dedicata a tutti voi, che avete incrociato per un po’ le vostre vite con la mia: GRAZIE!

Analisi del 2015

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog.

Ecco un estratto:

Un “cable car” di San Francisco contiene 60 passeggeri. Questo blog è stato visto circa 1.900 volte nel 2015. Se fosse un cable car, ci vorrebbero circa 32 viaggi per trasportare altrettante persone.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

Mantenere la posizione 2.0 e 2.1

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Avete presente il pezzo di Luciana Littizzetto intitolato “Mantenere la posizione”? Per chi non lo conoscesse, è un’esilarante quanto arguta descrizione di ciò che avviene quando una donna deve andare in un bagno pubblico. Mi permetto, vista la situazione attuale che mi affligge, di dare seguito a quel pezzo (sicuramente con minore maestria) ed aggiungere un livello, come nei videogames, un’ulteriore difficoltà: mantenere la posizione su una gamba sola!!! Care amiche di sventura, dovreste provare l’emozione di andare in un bagno pubblico stando in equilibrio precario su un solo piede ed utilizzando le stampelle! Ora vi spiego come superare il livello: con la classica andatura dondolante tipica di un babbuino delle foreste, vi avvicinate alla porta della toilette quando state proprio scoppiando (altrimenti mai e poi mai vi sognereste, in cotal condizione, di farlo!) e la aprite. Quasi sempre il pavimento è bagnato ed è meglio non  chiedersi di cosa. Provate ad entrare e le stampelle scivolano sui liquami come se foste Isolde Kostner che volteggia sulle piste ghiacciate di pattinaggio. Ma voi non siete pattinatrici olimpioniche e siete costrette, con borsa al collo, giaccone e stampelle, ad afferrarvi a qualsiasi appiglio semipulito che capiti alla vostra portata, pur di non rovinare a terra o sul water, con fare tutt’altro che leggiadro. Una volta recuperato l’equilibrio, decidete che è meglio non contare sui supporti e li appoggiate in un angolo del bagno. Così, in piedi su una sola gamba come una gru nella palude, iniziate a sbottonare e poi abbassare pantaloni e biancheria. La cosa più difficile è trasformarsi in un’equilibrista da circo: spostate l’abbigliamento in modo da evitare che qualsiasi goccia possa toccarlo, quindi sempre con borsa al collo, mano impegnata a tenere la biancheria a debita distanza e un piede sollevato, piegate sufficientemente l’altra gamba per permettervi di fare ciò per cui siete entrate, sempre senza toccare il water, mentre con l’altra mano tenete il fazzoletto di carta che avevate precedentemente preparato. Ci vuole una forza titanica e la gamba inizia a tremare per la fatica, sudate per lo sforzo e diventate paonazze… Vi assicuro che ne uscite davvero provate! Ma è da sperimentare anche l’upgrade, la versione 2.1, ovvero andare in bagno sul treno, sempre su una gamba sola e con le stampelle… È un livello riservato solo alle più esperte, alle cinture nere di approccio ai bagni pubblici. Dovete fare tutto quanto descritto in precedenza mentre il treno è in movimento: già arrivare a destinazione è cosa di non poco conto (oggi una signora si è complimentata per l’abilità con cui procedevo saltellando su una gamba sola nel vagone – sembravo Tarzan alle prese con le liane) ma vi assicuro che dover fare anche il resto ed uscirne indenni, è davvero roba da ola al Maracanà!!!

Il leone è ferito ma non è morto: la (dis)avventura continua…

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In questo caso, è la leonessa a ribadire al mondo a gran voce la propria persistenza vitale… Ebbene, il gran giorno dell’eliminazione del gesso è giunto!  Accompagnata da mio fratello, mi sono recata di mattina presto, dunque, al nosocomio (quanto amano, i giornalisti, questo termine…) salernitano e, dopo lunghe ed estenuanti attese, ho tolto l’odiata ingessatura. Premetto che vedere quella mini sega circolare che affondava nel bianco e duro strato che ricopriva la mia gamba mi ha fatto venire le caldane, nonostante facesse freddo e la menopausa sia ancora di là da venire… Ad ogni modo, sono giunta incolume dal medico che mi doveva visitare, sebbene avessi una zampogna al posto del piede, in perfetto clima  natalizio.

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Distesa a pancia sotto sul lettino, ho stoicamente resistito al dolore durante le palpazioni di polpaccio e tendine, stringendo pugni, denti e occhi pur di non fiatare (perché si sa, una “donna vera” non può fare la “donnicciola”…). Esito della visita: in via di completa remissione, dovevo indossare un costosissimo tutore privo di movimento alla caviglia, iniziare a poggiare il piede a terra caricando parzialmente, tornare a controllo dopo ecografia alla fine delle feste natalizie. Orbene, poiché immaginavo che all’ospedale –  pardon: nosocomio – non mi avrebbero fatto esami strumentali, avevo già prenotato un’ecografia per il pomeriggio stesso. Così mi sono fatta accompagnare, stavolta da mio padre, a questo secondo appuntamento. Anche qui stesa a pancia sotto su un lettino: dottore dalla mano delicata e, ad onor del vero, a mio avviso molto scrupoloso, per prima cosa ha voluto verificare le condizioni del tendine dell’altra gamba, paventandomi l’ipotesi di un processo degenerativo in atto!!! Oh che piacere sentirsi dire una cosa del genere… Stavolta il sudore era freddo! Fortunatamente, però, il medico ha trovato che i tendini erano sani. Sì, avete capito bene: i tendini! Anche quello che pare si fosse lesionato. Non convinto, ha ricontrollato più volte, giungendo alla conclusione che la prima ecografia, fatta subito dopo il trauma, avesse potuto produrre un falso positivo a causa della presenza dell’edema. Lo strappo al polpaccio appariva in via di guarigione. A suo avviso avrei dovuto vedere un fisiatra per iniziare una terapia riabilitativa. Ancora una volta, essendo certa che l’esame strumentale necessitasse di essere esaminato da occhio esperto, mi ero portata avanti col lavoro ed avevo già prenotato una visita con un ortopedico di assoluta fiducia, risolutore di diverse défaillance fisiche familiari e per questo motivo assurto a lare tutelare di tutta la razza. Quella stessa sera, quindi, accompagnata nuovamente da mio fratello ma con l’aggiunta delle mie figlie, sono andata all’ultimo appuntamento. Ancora una volta stesa a pancia sotto su un lettino: iniziavo a farci l’abitudine! A quanto pare, i miei tendini sono per loro natura sottili ma quello della caviglia destra lo sarebbe di più, quindi forse ha subito un assottigliamento dovuto ad una parziale lesione. Inoltre il polpaccio pare stirato e non strappato… Ad ogni modo, il nume tutelare delle mie ossa mi ha vivamente sconsigliato di poggiare il piede a terra per altri 15 giorni, onde evitare una non improbabile lesione più seria del tendine di Achille. A questo punto il tutore diventava inutile (e meno male: quattrocento euri – come dicono da queste parti – risparmiati!). Successivamente, dovrò iniziare una fisioterapia prima passiva, poi caricando gradualmente fino alla vera e propria rieducazione motoria. Poi farò la nuova ecografia di controllo e relativa visita. Sarò anche di parte, ma mi fido di più di quest’ultimo responso. Una sola cosa non mi è ancora chiara: ma il polpaccio si è “solo” stirato o si è strappato? E il tendine di Achille si è parzialmente lesionato, assottigliato o è rimasto sempre integro??? Bah!!!

Come andrà avanti questa epopea? Vi aggiornerò al prossimo… ruggito! 🐯😉

Piccole conquiste da supereroina

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Chi di voi si ricorda di Nonna Abelarda, l’arzilla vecchietta che campeggiava sulle copertine di tutti i nostri quaderni di scuola, insieme al nipote Soldino, quella che è stata soppiantata dalle Winx, Violetta e i Power Rangers, più forte di Braccio di Ferro e più astuta di Topolino? Ebbene, oggi mi sono sentita proprio  come lei! Per quale ragione? Semplice: sono riuscita a farmi la doccia da sola!!! “Ah, beh… Quest’è tutto? Chissà che credevo…” direte voi. E lo avrei detto anch’io, fino a due settimane fa. Ma da quando ci ho sta cavolo di gamba ingessata e non devo poggiarla a terra, mi sento come la versione femminile di Pietro Gambadilegno e le mie prospettive sono cambiate un po’. Come scavalcare il bordo del piatto doccia? Con un saltello? Con una sorta di salto con l’asta usando le stampelle? E se scivolavo e mi trovavo a fare un doppio carpiato con avvitamento a destra? Facevo fuori anche l’altra gamba? L’idea era poco allettante… Ebbene, ho agito così: dopo aver sigillato la gamba ingessata in una busta di plastica chiusa con lo scotch da imballaggio a mò di strenna natalizia ed aver appeso l’accappatoio accanto alla doccia, ho messo lo sgabello di plastica (regalatomi all’uopo) sul piatto doccia; il tutto saltellando per il bagno sempre su una sola gamba, sentendomi come un pupazzo a molla, magari di quelli che certuni mettono sulla cappelliera della loro auto e che fanno “sì sì” con la testa. Quindi, coi piedi ancora fuori dal piatto doccia, mi sono seduta ed ho lasciato andare le stampelle contro il lavandino, pregando che non finissero a terra in zona non raggiungibile. Bene: primo step andato! Ergo ho infilato i piedi dentro, chiuso l’anta e fatto ciò che dovevo fare da seduta. Ah! Che piacere!!! L’acqua calda che veniva giù a ritemprare le membra intorpidite… Ma il difficile doveva ancora arrivare: uscire incolume… Chiusa l’acqua, mi sono alzata su un piede solo, sudando e perdendo, quindi, tutti i benèfici effetti della doccia appena fatta, ben attenta a stare col piede sano sul tappetino antiscivolo, appoggiandomi con una mano al muro bagnato e cercando di tenerla a ventosa, sperando nell’effetto ramarro. Aperta l’anta, ho preso l’accappatoio e l’ho infilato. Indi mi sono seduta di nuovo. Uff!… Sospiro di sollievo! Anche il secondo step era andato…  Ho messo, quindi, i piedi fuori, sul tappeto, e mi sono sporta ad afferrare le stampelle, sempre pregando che non si ribaltasse lo sgabello sul piatto doccia bagnato.  Provate a immaginare: sedere dentro, “in punta” allo sgabello, piedi fuori sul tappeto, busto proteso in avanti, mano delicatamente poggiata al box doccia sperando di non abbatterlo cadendo ed altra mano tesa ad afferrare le stampelle… Che spettacolo indecoroso! Quando… et voilà! Ce l’avevo fatta!!! Come una novella Nonna Abelarda ero riuscita in un’impresa titanica! Mi sono alzata trionfante sollevando le stampelle al cielo a mò di coppa! Le luci della ribalta tutte per me!!! Vittoria!!!!

Beh, teatralità a parte, le cose si sono svolte esattamente così ed io mi sono sentita soddisfatta.

Ecco come anche una piccola cosa ti può allietare la giornata e farti sentire una supereroina 😄

Di come, a causa di un’ingessatura, sono finita a fare la blogger 😲

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Cari lettori (se ce ne sono…), stasera vi parlerò di come sono finita a fare la blogger. Sì, lo so, vi stavate strappando i capelli dalla curiosità… Ed io (pensate un po’ che generosa!) vi accontento.

Era un bel mattino di fine novembre, tiepido e assolato, ed io pregustavo allegramente l’idea di trascorrere, finalmente, quel lasso di tempo libero in giro con una o due amiche, tra bancarelle del mercato e negozi dei cinesi, presa da un’irrefrenabile voglia di darmi al bricolage natalizio (cosa del tutto nuova!).

Ero talmente allegra che decisi di portare le mie figlie a scuola a piedi per goderci già una bella passeggiata.

Giunte che fummo sotto la scuola, leggermente in ritardo e arrancando sulla ripida salita del cortile che precede l’ingresso, ebbi la folgorante idea di sollecitare la mia progenie,  seguendo un altro bambino, e improvvisamente iniziai a correre, manco fossi inseguita da un velociraptor a dieta da un anno.

Tutta allegra e baldanzosa, sentendomi come Fiona May alle olimpiadi e dimentica del fatto che l’età avanza e da diversi mesi non mi allenavo, feci poche falcate sorridendo alle altre e mamme, come se mi potessero vedere alla moviola, e… Boom! un colpo secco dietro al polpaccio mi costringeva a fermarmi e girarmi col viso adirato, cercando di capire chi fosse quel… “simpatico mattacchione” che doveva avermi lanciato addosso almeno un pezzo di montagna, vista la botta che avevo sentito. Ma, con mio grande stupore, non vidi nessuno… Anzi, a terra non c’era nulla che potesse avermi colpito. E mentre mi iniziavo a porre serie domande sull’origine dell’universo e sull’esistenza di dio o degli alieni, con aria inebetita, un improvviso dolore mi colse nell’area dell’impatto, lasciandomi piegata in due a stringermi il polpaccio e ad imprecare mentalmente, senza che alcun suono venisse articolato in modo comprensibile dalle mie labbra. Al massimo un “MMM…  CTCM… GNNN… MMMMMMM” poteva essere udito da chi mi guardava con aria incredula (per la serie: “ma tu fino a un attimo fa eri normale!”).

E così, mentre altre sollecite genitrici scortavano le mie pargole a scuola, qualcun altra scortava me, zoppicante e dolorante, a casa… Addio sogni di gloria!!! I progetti per la mia splendida mattinata erano sfumati!

Ma la vicenda, lungi dall’essere risolta con copiosi impacchi di ghiaccio, non terminò qui… Quando mi resi conto che non potevo poggiare il piede a terra e che utilizzavo la sediolina dell’IKEA delle mie figlie a mò di girello per spostarmi, sedendomici di quando in quando per riprendere fiato, capii che era forse giunta l’ora di farmi portare al pronto soccorso. Un’amica solerte quanto generosa e il suo beneamato consorte mi accompagnarono, dunque, negli inferi… Uscii a riveder le stelle dopo sette (dico… SETTE!!!) ore.

Così, per non dilungarmi ancora troppo nella narrazione, vi dico che dopo la lunga giornata ivi trascorsa, seppi di aver lacerato parzialmente tanto il muscolo quanto il tendine di Achille, e fui ingessata.

Ora, dovendo trascorrere trenta giorni a riposo, senza poter uscire di casa, senza nulla da fare… secondo voi cosa ho escogitato???

Ma bravi!!! Avete indovinato!!! Non temete, però, non avete vinto nulla…

E chissà che io non ci provi talmente tanto gusto da non smettere più!!! “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate!”  😉