Cent’anni di solitudine… Sei mesi di noia!

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Lo so, il mio punto di vista sarà sicuramente controcorrente e molto criticato. Ciò nonostante, ritengo che ognuno debba essere libero di esprimere le proprie opinioni e i propri gusti, anche se in controtendenza e non omologati a quelli degli altri. Di norma leggo un libro in pochi giorni o, quando proprio non ho tempo, nel giro di un mese. Ebbene, per leggere questo libro ho impiegato la bellezza di sei mesi! Proprio non andava giù! Eppure ero curiosa di comprendere il perché del suo successo e come mai piacesse tanto a così tante persone che stimo profondamente. Così sono giunta fino alla fine…

Il libro narra l’epopea visionaria della famiglia Buendia, nell’arco di tempo di un centinaio di anni, e del paese immaginario fondato dal suo capostipite José Arcadio: Macondo. È una storia palesemente e volutamente esagerata, in cui prevalgono gli incesti e le passioni istintive, quasi animali, dei suoi protagonisti, che continuano a ripetere di generazione in generazione gli stessi errori, avvolti in una spirale di corsi e ricorsi, destinati ad un ineluttabile destino di profonda solitudine. Francamente, l’ho trovato morboso, angosciante ed eccessivamente centrato sul tema della morte e del perché nasciamo, viviamo e moriamo. Non lo sappiamo e, chiaramente, non lo sapremo mai. Ho pensato, dunque, che fosse inutile sottolineare questa ovvietà come fa Màrquez nel suo libro. Sembra che i suoi personaggi non abbiano la più pallida idea di ciò che fanno e del perché lo fanno, sono dei fantocci, banderuole al vento del destino. L’effetto è palesemente voluto e cercato dall’autore, per sottolineare la inevitabilità del fato che aspetta ognuno di noi. Forse è proprio il tentativo di esorcizzare le paure più profonde, quasi in maniera ossessiva, che la storia genera nei lettori, la caratteristica che tanto affascina chi legge questo libro. Per quanto mi riguarda, l’ho trovato fantasioso, cerebrale e, onestamente… noioso!


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