Il Premier e la scuola: “Genitori, fate ciò che dico, non fate ciò che faccio”.

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<<… capita a volte che quando un alunno viene redarguito da un’insegnate si tende ad essere più comprensivi nei confronti del figlio che del maestro. Bisogna invece riconoscere il ruolo sociale e dare maggiore attenzione agli insegnanti>>. Questo è quanto si apprende dall’ANSA , riguardo a ciò che avrebbe detto il Premier, presente all’inaugurazione di una scuola in provincia di Pescara. (http://www.ansa.it/abruzzo/notizie/2016/11/10/scuola-renzi-a-genitori-rispettare-insegnanti_0c8ac045-8dbc-437a-9b9c-07855b893a78.html)

Mi sentirei di rispondere al nostro Presidente del Consiglio: “Le chiacchiere stanno a zero!!!” Come può, il Governo e, quindi, lo Stato italiano, chiedere ai genitori di rispettare gli insegnanti dei propri figli, quando per primo non lo fa? I docenti italiani sono tra i più bistrattati, perché così come i genitori sono pronti a difendere i propri figli di fronte ad ogni evidenza di inettitudine e cattiva educazione, altrettanto fa lo Stato: se gli alunni non hanno voglia di studiare è perché i docenti non hanno una didattica coinvolgente e personalizzata, se sono maleducati i docenti non possono agire con provvedimenti disciplinari perché sono diseducativi (mentre essi stessi possono essere sottoposti a provvedimenti disciplinari per qualunque cosa), non si può quasi più bocciare perché anche se gli alunni sono ignoranti, magari hanno competenze sufficienti per sbrigarsela nella vita (sarebbe giusto se, poi, volessero fare gli artigiani ma, invece, pretendono di iscriversi all’università e quei genitori che hanno le giuste conoscenze smuovono mari e monti per vedere laureato un figlio ignorante, senza pensare che poi sarà un pessimo medico, avvocato, ingegnere e che la vita di qualcuno potrebbe dipendere da lui…). La Cassazione ha dato ragione a un genitore che ha denunciato un docente per aver osato dare dell’ignorante al proprio figlioletto adorato; quando quegli stessi scalmanati che vanno solo compresi si sono accoltellati fuori da una scuola, a Napoli, la colpa è stata ancora una volta attribuita agli insegnanti che non hanno saputo prevedere e intervenire in anticipo; qualunque malinteso intervenga nel rapporto scuola-famiglia, lo Stato dà quasi sempre ragione a quest’ultima che, quindi, denuncia gli insegnanti per battere cassa in periodo di crisi. Insomma, così come i ragazzi fanno i bulli perché sanno di essere spalleggiati sempre e comunque dai genitori, a dispetto di ogni evidenza, così fanno questi, assolutamente certi che i tribunali daranno loro ragione in caso di contenzioso (forse perché anche tanti giudici sono genitori che si sentono in colpa per essere poco presenti nella vita dei propri figli? ). E poi, ancora: quale considerazione ha, lo Stato, nei confronti di quegli insegnanti che vengono sbattuti in giro per tutta Italia come merci, come se non fossero degni di considerazione, defraudati della loro dignità di persone, ancor prima che di professionisti, le cui famiglie si sgretolano per poi sentirsi dire, da quegli stessi governanti, che sono degli ingrati perché non apprezzano di avere, finalmente, un lavoro stabile, il cui stipendio è a stento sufficiente per mantenersi tutto il mese lontano da casa? Quale considerazione c’è, in tutto questo, quale rispetto da parte dello Stato che, ipocritamente, incita i genitori a ricordare l’importanza sociale che dovrebbero rivestire questi docenti, completamente esautorati dal proprio ruolo di educatori?

Egregio Primo Ministro, come diceva Totò: “Ma ci faccia il piacere!”

Halloween non è (solo) una festa importata. Origini nostrane, feste tradizionali e folklore locale.

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A quanto pare Halloween riesce sempre più a generare polemiche tra i detrattori di questa usanza e chi, invece, caldeggia l’introduzione della “nuova” festa, tra chi addirittura vede qualcosa di demoniaco e tentazioni infernali mascherate da gioco per bambini e chi non trova nulla di male nelle mascherate carnascialesche e le richieste di dolciumi. Personalmente, non mi sento di gridare allo scandalo di fronte a tutto ciò, in quanto questa usanza è ben lungi dall’essere l’ennesima “importazione straniera”, essendo profondamente radicata anche nelle usanze del popolo latino, senza contare che non ha proprio nulla di demoniaco.

Un po’ di storia… Le popolazioni antiche erano strettamente legate ai cicli della terra, in quanto dipendevano dalle produzioni agricole e dagli allevamenti che potevano decretare la vita o la morte delle comunità. Così, quasi tutti gli antichi abitanti del continente europeo, dal bacino del Mediterraneo al Nord Europa, avevano riti propiziatori legati all’alternarsi delle stagioni ed alla fertilità dei campi e del bestiame. Per tale ragione, la fine dell’anno veniva generalmente fatta coincidere con il termine della stagione estiva e con l’inizio del periodo più freddo e più buio, quando gli allevamenti venivano ritirati dai pascoli per tenerli al riparo ed il ciclo produttivo della terra terminava. Aveva inizio, quindi, un nuovo anno, che partiva con la speranza di messi abbondanti, propiziate attraverso riti di vario genere. I latini celebravano l’arrivo del nuovo anno offrendo mele a Pomona, dea dei frutti e dei raccolti, spesso rappresentata con cornucopie stracolme di frutti e cereali, nella speranza di favorire la fertilità dei raccolti. Le celebrazioni erano tenute dai sacerdoti, i flamini pomonali, sebbene si sappia poco al riguardo. Anche altre popolazioni avevano riti simili che si celebravano la notte tra il 31 ottobre ed il primo novembre, il capodanno celtico, quando a causa del buio e del freddo si chiudevano nelle case, intorno ai fuochi dei camini, in attesa della primavera. I festeggiamenti per il nuovo anno erano conosciuti come riti di Samahain (pronunciato sau-in), che tradotto dal gaelico vuol dire “fine dell’estate”. Durante questi riti, si ringraziavano gli dei per i raccolti e la salute del bestiame avuti nell’arco dell’anno trascorso e si esorcizzava la paura dell’inverno, attraverso la celebrazione della morte. Le tradizioni spiritiche, infatti, sono molto più radicate nelle regioni agricole, dove la terra conserva ancora le suggestioni magiche. Le popolazioni celtiche credevano nella potenza magica della terra che, avendo la facoltà di resuscitare il seme che moriva in inverno, analogamente poteva resuscitare i morti. Secondo i Celti, durante Samhain, la barriera spazio-temporale tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava, tanto da consentire agli spiriti dell’aldilà di oltrepassare il sottile velo che separava i due mondi e vagare indisturbati sulle terre dei vivi. Alla gioia ed ai festeggiamenti per la fine del vecchio anno, quindi, si univa la paura dei morti: si svolgevano sacrifici animali e si accendeva il fuoco sacro che veniva, poi, distribuito nelle varie case perché fossero protette, mentre ci si mascherava con le pelli degli animali uccisi per mettere in fuga gli spiriti maligni. In Irlanda si accendevano braci e si lasciava cibo fuori dalle case per i defunti che si fossero recati in visita presso i loro familiari affinché, soddisfatti, non giocassero loro brutti tiri. Ovviamente, tutte queste usanze si fusero tra loro grazie alle conquiste romane, sovrapponendosi. Nulla di demoniaco, dunque, come talvolta la Chiesa o suoi esponenti vogliono far credere, ma solo riti legati alla terra, ai raccolti ed agli allevamenti, ovvero alla vita stessa delle popolazioni antiche.

La Chiesa cercò in tutti i modi di eradicare le usanze pagane, demonizzate da sempre, ma questi culti erano tra i più sentiti dalla popolazione. Non riuscendo, quindi, a debellare queste usanze, papa Gregorio III spostò la celebrazione della festa di Ognissanti dal 13 maggio al 1 novembre 609, a Roma, per contrastare il culto di Pomona. Nel IX sec., papa Gregorio IV ufficializzò tale data estendendola a tutti i territori cristiani, sperando di debellare i riti di Samhain. Il nome Halloween, infatti, deriva dalla contrazione dei termini All Hallow’s Eve (oppure Even), dove Hallow è un termine inglese antico che vuol dire Santo, mentre Eve vuol dire Vigilia (ed Even vuol dire Sera): quindi Vigilia (o Sera) di Tutti i Santi. Nelle popolazioni di origini celtiche, infatti, la Vigilia (o per meglio dire la notte) ha una valenza superiore al giorno dedicato alla festa (è così anche per il Natale ed il Capodanno, ad esempio). Poiché, però, neanche la festa di Ognissanti riuscì ad evitare i riti tradizionali, la Chiesa fu costretta ad aggiungere, nel X sec., il giorno della Commemorazione dei Morti, il 2 novembre, cercando ancora una volta di confondere le acque e trasformare i riti pagani in riti cristiani. Dopo tutto, non sono stati anche trasformati gli antichi dei pagani in Santi, perché era l’unico modo per confondere i popoli ignoranti e convertirli al cristianesimo?

E’ stato solo nel XIX sec. che, a seguito di una terribile carestia, molti irlandesi abbandonarono le loro terre ed emigrarono negli Stati Uniti, portando con sé le proprie tradizioni, tra le quali la celebrazione di Halloween, che si diffuse presto nella popolazione americana, sempre aperta ad accogliere e trasformare (diciamo anche a snaturare) talune usanze degli immigrati europei, facendo perdere il significato originario dei riti per trasformali in eventi commerciali e goderecci. Grazie al cinema ed alla televisione, tali usanze si sono diffuse e sono tornate indietro nei paesi di origine, con l’effetto di una cassa di risonanza, anche laddove questi festeggiamenti erano stati abbandonati e perlopiù dimenticati, a causa della presenza massiccia della Chiesa, come in Italia, o dove non erano mai esistiti.

A dimostrazione che in Italia questa non è una tradizione (solo) importata, vi sono le usanze nostrane che ancora persistono dalla notte dei tempi…

  • Nel celebrare la commemorazione dei defunti, una tradizione vuole che i primi Cristiani vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d’anima”; più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore (una tradizione, quindi, molto simile a quella degli antichi druidi e sacerdoti pagani dell’Europa pre-cristiana). Le Ossa di Morti, infatti, sono biscotti ripieni di mandorle e nocciole. A seconda della zona  questi deliziosi dolcetti possono essere chiamati Stinchetti dei morti (Umbria),  Dita d’Apostolo (Calabria) oppure Fave dei Morti.
  • In alcune zone del Paese si è soliti lasciare un lume acceso, dell’acqua fresca  e del pane per permettere alle anime dei morti in “visita” al mondo terreno  di ristorarsi.
  • In Val d’Aosta, le famiglie più rispettose della tradizione lasciano  la tavola imbandita mentre sono in visita al cimitero.
  • A Treviso si ricorre mangiando delle focacce particolari chiamate i morti vivi.
  • In Friuli e Veneto era diffusa la tradizione di intagliare zucche con fattezze di teschio (dette lumère, suche baruche o suche dei morti), e la credenza che nella notte dei morti questi potessero uscire dalle tombe, muoversi in processione, irretire i bambini, e infine che gli animali nelle stalle potessero parlare.
  • Sempre in Friuli era diffusa una tradizione simile a quella del “dolcetto o scherzetto”, ma applicata nelle festività natalizie o carnevalesche, feste che hanno pure origine come riti di passaggio d’anno, similmente a Halloween. In queste occasioni i bambini, eventualmente travestiti da figure spaventose e mostruose, potevano bussare di porta in porta recitando filastrocche il cui significato era quello di chiedere dolci, noci o piccoli regali, in cambio di un augurio rivolto all’interlocutore di accedere al paradiso.
  • Nelle campagne lombarde si sistemano  coperte e lenzuola, affinché i defunti possano riposarsi in tranquillità. L’uso di intagliare le zucche e illuminarle con una candela si ritrova, inoltre, anche in Lombardia e in Liguria, ad esempio nella cultura tradizionale di Riomaggiore nelle Cinque Terre, così come in Emilia ed in generale in tutta la pianura padana, dove si svuotavano le zucche e si usavano come normali lanterne illuminate da candele, venivano poste nei borghi più bui e vicino ai cimiteri e alle chiese. A Parma tali luci prendono il nome di lümera.
  • Nelle campagne dell’Emilia Romagna, i contadini la sera si chiudono dentro casa e non escono sino al mattino dopo: la Piligrèna stava ad indicare i fuochi fatui, pallide luci a forma di fiammelle visibili prevalentemente di notte e veniva associata, tra le varie interpretazioni, alle anime dei poveri defunti e alle anime perse del Purgatorio. La notte del 31 ottobre, a Lugo di Romagna, si assiste ancor oggi al rogo della Piligrèna. A Reggio Emilia, si festeggia mangiando dolci chiamati favette o ossa dei morti, biscotti dolci di pasta alla mandorla e ossa di zucchero aromatizzate e colorate. Si dice che mangiare tali dolciumi porti bene in quanto richiamano la protezione dei morti cari, in modo che possano proteggere dalla rigidezza dell’inverno.
  • L’uso delle zucche era ben presente anche nella cultura contadina della Toscana fino a pochi decenni fa, nel cosiddetto gioco dello zozzo (in alcune parti noto come morte secca). Nel periodo compreso tra agosto e ottobre si svuotava una zucca, le si intagliavano delle aperture a forma di occhi, naso e bocca ed all’interno si metteva una candela accesa. La zucca veniva poi posta fuori casa, nell’orto, in giardino ma più spesso su un muretto, dopo il tramonto e per simulare un vestito le si applicavano degli stracci o addirittura un abito vero e proprio. In questo modo avrebbe avuto le sembianze di un mostro provocando un gran spavento nella vittima dello scherzo, in genere uno dei bambini, mandato fuori casa con la scusa di andare a prendere qualcosa. Nella provincia di Massa Carrara la giornata è l’occasione del bèn d’i morti, con il quale in origine gli estinti lasciavano in eredità alla famiglia l’onore di distribuire cibo ai più bisognosi, mentre chi possedeva una cantina offriva ad ognuno un bicchiere di vino. Ai bambini veniva inoltre messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e castagne bollite. Nella zona del monte Argentario era tradizione cucire delle grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani, affinché ognuno potesse metterci qualcosa in offerta, cibo o denaro. Vi era inoltre l’usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che le loro anime tornassero in mezzo ai vivi.
  • Nel Lazio del nord la zucca intagliata ed illuminata veniva a volte chiamata La Morte.
  • In Abruzzo era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi, poi, una candela all’interno per utilizzarle come lanterne.
  • In Campania, in questi giorni, nessuno si sogna di fare a meno del Torrone dei Morti che si può trovare in gusti e consistenze diversi.
  • A Orsara di Puglia (FG) si festeggia il Fucacost (fuoco fianco a fianco), dove l’antichissima tradizione vuole che si accendano dei falò davanti a ogni casa (in origine di rami secchi di ginestra) che dovrebbero servire ad illuminare la strada di casa ai nostri cari defunti (in genere alle anime del purgatorio) che in quella notte tornano a trovarci. Sulla brace di questi falò, poi, viene cucinata della carne che tutti mangiano in strada assieme ai passanti. Nella giornata dell’1 novembre, nella piazza principale, si svolge la tradizionale gara delle zucche decorate (definite le cocce priatorje – le teste del purgatorio). A San Nicandro Garganico (FG) l’1 novembre è usanza andare di porta in porta a chiedere un’offerta. I bambini bussando alla porta recitano la filastrocca “damm l’anma i mort, ca snnò t sfasc la porta” (dammi l’anima dei morti, altrimenti butto giù la porta). Questa usanza ricorda molto quella del dolcetto o scherzetto, tipica dei paesi anglosassoni. A Massafra (TA) gli anziani raccontano che la notte del 31 ottobre l’aneme du priatorie (anime del purgatorio) lasciano il cimitero e percorrono in processione le vie del centro storico usando il pollice a mo’ di candela e raggiungendo le chiese per celebrare la messa dei morti. Se incontrano qualcuno per strada lo portano con sé. La tradizione popolare vuole che un tale mentre si recava al lavoro all’alba vide che in chiesa c’era la messa e vi entrò. Al termine della messa quando il prete si girò per la benedizione, si accorse che era senza naso. Solo allora si rese conto che tutti quelli che erano intorno a lui erano morti e fu sopraffatto. Le anime del purgatorio erano molto rispettate dagli anziani tanto che a loro era dedicato un posto a tavola con tanto di posate e tovagliolo. Esse rientrano nel cimitero la notte dell’Epifania.
  • A Serra San Bruno, in Calabria, vi è la secolare tradizione del Coccalu di muortu: i ragazzini, dopo aver intagliato una zucca riproducendo un teschio (in dialetto serrese, appunto, Coccalu di muortu), gironzolano per le vie del paese tenendo in mano la loro creazione e, bussando agli usci delle case oppure rivolgendosi direttamente alle persone che incontrano per strada, esordiscono con la frase: “Mi lu pagati lu coccalu?” (“Me lo pagate il teschio?”).
  • In Sicilia, durante la notte di Ognissanti, la credenza vuole che i defunti della famiglia lascino dei regali per i bambini insieme a dolci caratteristici: i Pupi di zuccaro (bamboline di zucchero) e la Frutta  martorana, preparata con la pasta di mandorle, detta anche pasta reale.
  • In Sardegna i bambini girano di porta  in porta per chiedere delle offerte per i morti e ricevono in dono pane, fichi secchi,  mandorle e dolci.  In Sardegna è conosciuta nel Sud come Is Animeddas (Sarrabus) o Is Panixeddas; in Ogliastra come Su Prugadoriu; nel Nuorese come Su mortu mortu, Sas Animas o Su Peti Cocone (Orosei). È una tradizione antichissima e prevede che i bambini si rechino di casa in casa per chiedere di fare del bene per le anime dei morti attraverso richieste di doni usando frasi di rito come “Mi ddas fait is animeddas?” (“mi fa le piccole anime?”) o “Carchi cosa pro sas animas” (“qualcosa per le anime”). I bambini che bussano alle porte si presentano nel Nuorese come sos chi toccana (“quelli che bussano”). Caratteristiche simili a Halloween si riscontrano anche nel Nord dell’isola, nell’antica festa di Sant’Andrea celebrata a Martis e in altri comuni dell’Anglona e del Goceano: la notte del 30 novembre gli adulti vanno per le vie del paese percuotendo fra loro graticole, coltelli e scuri allo scopo di intimorire i ragazzi e i bambini che nel frattempo vagano per le strade con delle zucche vuote intagliate a forma di teschio e illuminate all’interno da una candela. I giovani, quando vanno a bussare nelle case, annunciano la loro presenza battendo coperchi e mestoli e recitando una enigmatica e minacciosa filastrocca nella locale parlata sardo-corsa Sant’Andria muzza li mani!!… (“Sant’Andrea mozza le mani”) ricevendo in cambio, per questa loro esibizione, dolci, mandarini, fichi secchi, bibite e denaro.

Per concludere, quindi, ricordiamo che le ricorrenze legate ai morti riguardano tutto il mondo contadino, di ogni epoca e luogo, e non vi è proprio nulla di diabolico, in questo; semmai, hanno valore scaramantico ed apotropaico. Da oltreoceano è giunta solo l’amplificazione di tipo esibizionistico e commerciale che tipicamente stravolge il significato di ogni tradizione che giunge negli Stati Uniti: non è forse diventato una festa commerciale anche il Natale, oramai basato  su luci, regali, pranzi, abeti e su Babbo Natale, proprio grazie ai film americani? Perché, allora, scandalizzarci tanto per lo stravolgimento dei riti legati al nuovo anno agricolo-pastorale e non per quello legato alla nascita di Gesù?

Allora, semplicemente, accettiamo le trasformazioni delle feste ad opera di quei “bambinoni” troppo cresciuti e decisamente autoreferenziali degli americani, gustiamoci i festeggiamenti come sono diventati ora, senza dimenticarne il significato profondo ma senza demonizzarne il lato goliardico e, soprattutto, godiamoci la festa!!!

Buon Halloween a tutti! 👻🎃🍬

Scuola: Finlandia Italia 3-0? Vediamo…

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Aula scolastica finlandese
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Aula scolastica italiana

 

Da un po’ di tempo si polemizza sulla didattica italiana e la si confronta col modello finlandese, che pare essere uno dei migliori al mondo per risultati culturali.

Alcuni dei punti forti di tale polemica, ultimamente, pare siano quello dei compiti assegnati a casa, quello dell’abbandono scolastico ed infine dell’aumento del divario tra le classi sociali. Ho letto attacchi di ogni tipo e recriminazioni su quanto siano scarsi e poco competitivi i risultati della scuola italiana rispetto ad altri modelli. Si pongono in evidenza, però, tutti i punti deboli del nostro sistema educativo in maniera acritica e strumentale. Vediamo, dunque, step-by-step le varie differenze tra il sistema italiano e quello finlandese e cerchiamo di trarne le dovute valutazioni…

Finlandia                                                                                

  • Ore settimanali di compiti a casa: 3
  • Scarsa disparità di competenze tra studenti
  • Non aumenta il divario sociale tra studenti
  • Abbandono scolastico: 0,3%

Italia

  •  Ore settimanali di compiti a casa: 7
  • Disparità di competenze tra studenti
  • Aumenta il divario sociale tra studenti
  •  Abbandono scolastico: 15%

Questi solo alcuni dei punti in discussione, in quanto l’elenco potrebbe essere molto più lungo. Andiamo ad analizzare, allora, le differenze tra i due sistemi scolastici in questione, cercando di valutare criticamente i dati.

  1. Il sistema scolastico finlandese si confronta con una popolazione di 5 milioni di abitanti mentre quello italiano si confronta con una popolazione di 60 milioni di abitanti, con maggiori differenze socio-economiche ed una forte presenza di immigrati che comporta determinanti differenze culturali, che la Finlandia non ha;
  2. Le scuole finlandesi godono di strutture innovative, laboratori e materiale mentre le scuole italiane sono troppo spesso fatiscenti, ospitate in edifici non creati allo scopo e inadatti a tale uso;
  3. Libri, materiale didattico ed occorrente sono forniti agli studenti, gratuitamente, dalla scuola finlandese mentre in Italia, troppo spesso, non ci sono i soldi nemmeno per l’acquisto della carta igienica e gli studenti e le loro famiglie devono provvedere a fornire il materiale didattico necessario ai propri figli;
  4. In Finlandia gli studenti restano a scuola mediamente 8 ore al giorno, con mensa gratuita, e possono svolgere tutte le attività didattiche all’interno della scuola, invece in Italia gli studenti restano a scuola mediamente 6 ore al giorno, senza mensa, mentre chi fa il tempo prolungato deve pagare per mangiare a scuola;
  5. Le classi, in Finlandia, non possono superare il numero di 18 studenti, mentre in Italia ancora troppo spesso si raggiunge il numero di 26/30 alunni per classe;
  6. In Finlandia ai docenti sono garantiti uffici all’interno delle strutture scolastiche, attrezzati con computer ed altro, le ore di lavoro sono fisse, comprendono anche le attività di formazione e non prevedono, come in Italia, lavoro extra non retribuito e non quantificabile da aggiungere alle ore impiegate per lo svolgimento delle attività didattiche, per riunioni, ricerche da svolgere a casa, correzione dei compiti, formazione obbligatoria non retribuita ecc.;
  7. La Finlandia investe economicamente molto per le risorse umane e la formazione scolastica mentre l’Italia legifera imponendo standard difficilmente raggiungibili ma abbandona le scuole ed i docenti a sé stessi quando si tratta di “mettere mano alla tasca”;
  8. Lo stipendio medio del docente finlandese è superiore a quello del docente italiano ed il prestigio e la considerazione del lavoro sono di gran lunga superiori a quello dei nostri docenti;
  9. Gli allievi delle scuole finlandesi hanno rispetto per i propri docenti, perché anche le loro famiglie rispettano il lavoro degli insegnanti, gli allievi italiani invece usano spesso il turpiloquio, ignorano deliberatamente i propri docenti e talvolta vengono alle mani in classe, perché le famiglie per prime svalutano il lavoro degli insegnanti;
  10. Per concludere, mentre in Finlandia, come si è detto, i docenti godono di uno status sociale molto elevato, il governo italiano in primis non fa che criticare i propri docenti, svalutandoli agli occhi dell’opinione pubblica, comportandosi proprio come quei “cattivi docenti” di cui tanto parla che, invece di aiutare i propri alunni a crescere rafforzando l’autostima e, di conseguenza, la voglia di fare sempre di più e sempre meglio, non fa che bacchettarli ed umiliarli pubblicamente, autorizzando in tal modo le famiglie a sostituirsi troppo spesso agli insegnanti, entrando nel merito delle metodologie didattiche intraprese, generando nei propri docenti frustrazione, depressione e sindrome da burnout che, certamente, non giovano alla produttività ed alla qualità dell’insegnamento.

Un’ultima considerazione da fare è che, con le nuove normative italiane, si sta introducendo una sorta di divieto alla bocciatura, per cui gli studenti sono autorizzati a non studiare, a non seguire le lezioni, a litigare tra di loro in classe e fuori, a non avere disciplina né rispetto per alcun tipo di regola. I docenti sono completamente esautorati ed abbandonati a sé stessi ed il loro lavoro è reso vano da queste nuove regole: se si interviene troppo spesso sulla disciplina si deve bocciare ma, poiché non si può più bocciare, non si può intervenire, così i ragazzi italiani, diseducati già dalle loro famiglie, possono arrivare a fare qualsiasi cosa in classe, senza che i docenti possano intervenire più di tanto, pena interventi delle famiglie e rischio di sanzioni disciplinari; ma se gli studenti troppo vivaci si fanno male a scuola, perché davvero maleducati, il docente è ritenuto responsabile e ne deve pagare le conseguenze civili, penali e disciplinari. Le famiglie sono diventate incapaci di educare i propri figli e pretendono che lo facciano i docenti ma, poi, li tacciano di eccessiva severità nei confronti dei propri “angioletti” e di essere incapaci ed incompetenti.

Insomma, pare che siano tutti bravi ad evidenziare quanto deprecabile sia il sistema didattico-educativo italiano rispetto a quello degli altri paesi, senza minimamente far notare quanto sia difficile insegnare in questo Paese, o quanto poco faccia l’Italia per il proprio sistema scolastico, non erogando fondi e pretendendo, tra l’altro, che i propri insegnanti dimentichino di avere anche una famiglia! Nelle condizioni in cui sono costretti a lavorare, i docenti italiani fanno anche troppo… Chapeau!

Per maggiori approfondimenti:

scuola-finlandese

La scuola italiana e la scuola finlandese: due sistemi a confronto

Compiti a casa: a Shanghai 14 ore a settimana, in Italia 7, in Finlandia 3. Servono?

Museo archeologico di Taranto: eccellenza italiana poco conosciuta

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Alcuni giorni fa sono stata al Marta, Museo Archeologico di Taranto, uno dei musei più importanti ma meno conosciuti d’Italia.

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La collezione più famosa è quella degli ori antichi, forse la più ricca al mondo, ma non meno interessanti sono le collezioni di vasellame di varie epoche, mosaici romani e monete d’argento e d’oro.

Purtroppo uno dei tre piani non è ancora visitabile, in quanto i nuovi allestimenti sono solo parzialmente completati.

C’è da dire, però, che l’attesa del completamento vale assolutamente la pena: i vasti spazi espositivi, con parziali ricostruzioni dei ritrovamenti, le teche ben distanziate ed illuminate con didascalie chiare ed i supporti multimediali presenti in vari ambienti rendono la visita a questo museo piacevole e coinvolgente.

Abbiamo trascorso tre ore all’interno di questi ambienti ma avremmo potuto soffermarci anche di più, in quanto il tempo è passato in un attimo. Il personale addetto al museo è discreto ma, all’occorrenza, gentile e disponibile, mai privo di garbo e di un cordiale sorriso.

Mi complimento vivamente con la Direzione di questa struttura, augurandomi che venga maggiormente pubblicizzata, perché è davvero un’eccellenza del Sud Italia che è giusto conoscere.

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Per saperne di più: http://www.museotaranto.org/web/index.php?area=3&page=17&id=0&lng=it

 

Trasferimenti e Buona Scuola: è andato meglio chi non ha vinto il concorso!

buona scuola-3 Immagine tratta da BrindisiReport

Per poter comprendere la situazione, dobbiamo fare un piccolo salto indietro nel tempo, al momento del famigerato e contestato concorso docenti del 2012. All’epoca fu introdotta la pre-selzione, ovvero un mega quiz al quale rispondere in pochissimo tempo, valido su tutto il territorio nazionale, per tutte le categorie di docenti, per qualunque ordine e grado di scuola e per tutte le materie di insegnamento. Questa pre-selezione falciò le gambe a circa tre quarti degli aspiranti docenti anche perché, per superare quella fase così come quelle successive, non bastava più il punteggio di 6/10 ma era necessario ottenere un punteggio pari a 7/10 (il punteggio finale era in centesimi, quindi 70/100). Quel concorso, inizialmente riservato a chi era già abilitato, non era abilitante, di conseguenza o lo si vinceva o, in teoria, si ricominciava tutto da capo. In realtà non andò così, poiché i posti promessi, a seguito della nuova legge sui pensionamenti, non c’erano più. Quindi fu istituita una graduatoria di merito in cui furono iscritti non solo i vincitori del concorso a cui non era stata assegnata la cattedra ma, anche, i cosiddetti “idonei”, cioè coloro che avevano superato il punteggio richiesto ma non erano riusciti a guadagnarsi un voto sufficiente a far guadagnare loro la cattedra. A differenza di qualsiasi altro concorso pubblico, infatti, non fu garantita l’assunzione ai soli vincitori (come doveva essere inizialmente) ma anche a tutti gli idonei. Per chiarire, farò un esempio. In Campania, nella mia classe di concorso (A025-A028) furono messi a bando 91 posti su tutto il territorio regionale. Superata la preselezione, la prova scritta, la prova pratica e quella orale, ognuna con un voto equivalente almeno a 7/10, si sommava il punteggio per i titoli e si aveva il risultato finale in centesimi. Solo i primi 91 avevano diritto alla cattedra, gli altri inizialmente sarebbero dovuti rimanere con un pugno di mosche in mano. A seguito dei vari ricorsi all’italiana (fatta la legge trovato l’inganno) si istituirono le graduatorie di merito: poiché il Governo non garantiva più l’assunzione dei vincitori entro un anno, come doveva essere inizialmente, ma entro i successivi tre, venendo conseguentemente meno al patto istituito con i docenti, si crearono questi elenchi con vincitori ed idonei. Essendomi collocata a due terzi dell’elenco dei vincitori, mi aspettavo un’assunzione più immediata ma così non fu, essendo stata assunta nell’anno 2015/16. La fregatura era dietro l’angolo: è uscita la cosiddetta Legge sulla Buona Scuola. Assunta nella fase iniziale, fase 0, quindi grazie al normale turn over annuale e alla vincita del concorso, non ho trovato posto nella mia provincia (Salerno) e sono stata assegnata alla provincia di Napoli. Fin qui tutto ok. Sembrava. Invece l’inganno era in agguato. La fase A era di fatto assimilabile alla fase 0, solo che era stato esteso il numero degli assunti presi dalla graduatoria di merito e da quella ad esaurimento. La graduatoria ad esaurimento è costituita da tutti i docenti variamente abilitati (concorso, come me che lo avevo fatto abilitandomi nel 1999, SICSI, TFA ecc…) che intanto da anni facevano supplenze e punteggio senza mai essere assunti a pieno titolo nella scuola. Le fasi successive, B e C, hanno permesso l’assunzione, su tutto il territorio nazionale, ovunque ce ne fosse richiesta, degli “idonei” al concorso 2012 (quindi non più vincitori del concorso) ed ai precari delle graduatorie ad esaurimento. In queste fasi costoro sono stati assunti come organico di potenziamento, ovvero nella stragrande maggioranza dei casi non ad insegnare ma a fare i tappabuchi di altri docenti e ad occuparsi di varie altre mansioni. Per quanto mi riguarda, ho visto moltissimi salernitani assunti nella fase C venire ad insegnare in provincia di Salerno, nonostante tanti altri siano stati sparpagliati in giro per l’Italia. C’era il timore di ciò che sarebbe accaduto con i trasferimenti di quest’anno, soprattutto per gli assunti nelle fasi B e C. Ebbene, quasi tutti  coloro che sono stati assunti in queste fasi (ribadisco: non vincitori di concorso) hanno avuto la possibilità di chiedere il trasferimento interprovinciale prima dei vincitori di concorso assunti nell’ultimo anno (non di quelli assunti fino all’anno prima), ottenendo la sede più ambita. Ancora una volta devo spiegarmi meglio… La prima fase dei trasferimenti, fase A da non confondere con quella delle assunzioni,  ha riguardato solo i trasferimenti provinciali, inclusa l’assegnazione di una cattedra ai neo assunti 2015/16 all’interno della provincia iniziale, quindi nel mio caso ancora Napoli… Nella fase B è stata data la possibilità di chiedere il trasferimento interprovinciale a tutti coloro che erano stati assunti entro il 2014/15, di fatto creando una disparità di trattamento tra i diversi vincitori del concorso 2012. Se lo Stato avesse mantenuto la sua parola, tutti i vincitori di detto concorso avrebbero dovuto essere assunti nel 2013/14, ottenendo il medesimo diritto al trasferimento interprovinciale. Ma così non è stato, portando ad una differenza di diritto tra chi è stato assunto prima e chi dopo, solo a causa di una mancanza del Governo. Quindi gli assunti entro il 2014/15 hanno avuto la possibilità prima di chiunque altro di chiedere il trasferimento interprovinciale, ovviamente ottenendolo. Nella fase C è stata data la possibilità di chiedere il trasferimento interprovinciale agli assunti nelle fasi B e C 2015/16, quindi agli idonei al concorso ed ai precari delle graduatorie ad esaurimento, in entrambi i casi non vincitori del concorso. Solo nella fase D dei trasferimenti interprovinciali è stata data la possibilità a noi assunti nel 2015/16, vincitori del concorso 2012,  di chiedere il trasferimento interprovinciale. Ma, ovviamente, a quel punto non c’erano più posti disponibili. Risultato? Ho vinto il concorso ma nel trasferimento mi sono vista superare da chi non solo il concorso non lo ha vinto ma ha, in più casi, un punteggio di gran lunga inferiore al mio. Così chi non ha vinto il concorso sta comodamente a Salerno, magari anche sotto casa, ed io che ho vinto il concorso resto a Napoli. Per carità, rispetto a chi è stato sbattuto in giro per l’Italia non mi lamento, tutto sommato sto benino. Ma dov’è finita la meritocrazia? Di nuovo due pesi e due misure. Di nuovo ingannata dallo Stato, che non solo non mi ha assunta nei tempi stabiliti, creando una serie di deroghe alla legge ma, dopo, non mi ha considerato alla stregua di coloro che sono stati assunti prima grazie alla stessa legge, facendomi superare nei trasferimenti da chi non ha vinto il concorso ed ha un punteggio ridicolo… Oltre al danno anche la beffa.

Ora mi domando: non ci sarebbero i presupposti per fare causa allo Stato italiano? La legge non dovrebbe essere uguale per tutti???

Riflessioni sulla Festa della Repubblica

Corrieregiugno46

Come tutti ben sappiamo, lo scorso 2 giugno c’è stata la Festa della Repubblica. In quell’occasione un’amica e collega mi ha inviato un link alla canzone di De Gregori, Viva l’Italia, augurandomi una buona Festa. E’ seguito un breve scambio di opinioni, le mie più amare, le sue più fiduciose. Ve lo ripropongo, poiché ritengo che possa costituire un valido spunto di riflessione.

L.: Buona Festa della Repubblica

S.: Ormai sono in polemica con lo Stato italiano

L.: E hai ragione, noi siamo quelli dell’Italia che resiste. Noi siamo stati colpiti al cuore, troppo lucidi per non vedere, troppo, a volte con grande difficoltà, pesanti per cedere. E niente, viva l’Italia lo stesso, viva l’Italia che resiste.

S.: 😒 Io non ci credo più!

L.: Credimi, anche se dici non crederci più, parli, agisci, lavori, respiri come una che ci crede ancora.

S.: Come una che cerca di mantenere un minimo di onestà, nonostante lo schifo che la circonda. Per questo non mi sento rappresentata dallo Stato italiano, per questo non appena possibile andrò via. E se non riesco io, farò di tutto perché riescano le mie figlie. Oggi non è una festa, è una commemorazione. Vabbè, scusa. Te l’ho detto che sto in polemica…

L.: Invece non ti devi scusare, anzi. Oggi si festeggia una nascita. In settanta anni le violazioni sono state tante e reiterate. Questa non è l’Italia che avevano in mente i padri costituenti. Ma fu un grande sogno, fu una grande rivoluzione, e se ritrovassimo quello stesso slancio e quello stesso orgoglio ancora si potrebbe fare qualcosa. Però la polemica la capisco alla grande 😙

S.: L’Italia ha tradito i suoi sogni, perché il popolo italiano è un popolo senza palle. Preferiamo le chiacchiere da salotto e polemizzare, appunto, ma quando è il momento di agire, anche per le piccole cose, nessuno ha l’orgoglio di alzare la testa, di dire no, di dire basta. Siamo sempre pronti a dire: “Ma chi me lo fa fare? Attacca il ciuccio dove vuole il padrone…” Ognuno guarda solo il proprio orticello. L’ho fatto anch’io, talvolta, e in parte lo comprendo. Perché fare don Chisciotte è inutile e avvilente, perché si combatte soli e con lo sguardo addosso degli altri carico di pietà. Ma ho pietà per chi, invece, non è capace di far sentire la propria voce, di chi non ha più sogni per cui lottare. Se la voce che si alza non fosse una sola, quella di un matto sognatore, diventerebbe un coro. Ma l’Italia non conosce nemmeno più il coro del proprio inno nazionale… Che tristezza. L’Italia non è nemmeno più alla deriva, è un paese che affonda e va lasciato al suo destino. Cercare di salvarlo, ormai, di salvare gli italiani dalla propria mentalità becera, è inutile accanimento terapeutico. Ci si deve saper arrendere…

L.: Eppure, a me che ti osservo, tu non sembri arresa. Insegni alle tue figlie la bellezza, insegni ai tuoi alunni la serietà, che non manca del sorriso, insegni a me che dalle cose difficili si può uscire a testa alta. Insomma, cazzarola, se tutti fossero arresi come te, questo sarebbe un mondo perfetto. Sono felice di averti incontrata, tu non lo sai forse, ma sei una formidabile resistente.

S.: Confesso… Mi hai fatto piangere con queste poche righe. Grazie. Sono una donna fortunata 💖

E’ vero che mi sono commossa. Talvolta io stessa non mi rendo più conto di essere ancora in grado di combattere, penso di essermi arresa, perché sono sfiduciata. E guardarmi per una volta con gli occhi di un’altra persona, una persona che stimo moltissimo e a cui voglio un gran bene, mi ha fatto comprendere che per fortuna ho solo cambiato obiettivi, perché sono convinta che si debba solo andar via, ma sono tutt’altro che doma! Successivamente a questo breve scambio di battute, di cui nessuno era a conoscenza, sono stata inaspettatamente smentita sulla solitudine del mio essere don Chisciotte, trovando appoggio e solidarietà per una piccola battaglia di principio e onestà in cui credevo sarei rimasta sola. Sarebbe bello poter credere che fosse solo l’inizio, che un po’ alla volta tutti fossero capaci di ricordare la propria dignità, di sollevare la testa, di sollevarsi, che tutti ricordassero che lo Stato siamo noi, e che non dovrebbe essere possibile essere nemici di se stessi. Il nostro Stato, invece, ci è nemico, e noi abbiamo smesso di essere un Popolo, se mai lo siamo stato. Purtroppo, resto convinta che questo sia un Paese allo sfascio, in quanto costringe i giovani con un minimo di ambizioni ad andar via, laureati di belle speranze a fare lavori umili, attività e studi professionali a chiudere, famiglie a non potersi permettere di avere figli e doversi occupare in solitudine dei propri anziani e malati. I delinquenti sono tutelati mentre le persone per bene sono tartassate… E i nostri governanti si permettono anche di giudicarci, chiamandoci bamboccioni nella migliore delle ipotesi. Provo tanta amarezza.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi…

L’Italia è un cancro per il quale non esiste cura, nemmeno la fuga all’estero!

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Chi dice che trasferisce le sue attività all’estero per motivi fiscali dice, in parte, una baggianata. L’unica cosa positiva che si può ottenere, in alcuni paesi, sono i costi più bassi, inclusi quelli della manodopera (e non è poco, per carità!) Solo che ciò che si risparmia diventa reddito su cui si pagano comunque le tasse… italiane! L’unico modo per non aver più nulla a che fare col nostro fisco è andar via, vendere tutto ciò che si possiede in Italia, e non rimettere mai più il naso in patria. E non è certo al 100% che non ti vengano a cercare comunque, con la scusa che te ne sei andato SOLO per evadere le tasse, trovando un appiglio qualsiasi per poterti accusare. In realtà, motivi per fuggire via dall’Italia ce ne sono talmente tanti da avere solo l’imbarazzo della scelta. Quello fiscale, però, nell’ultimo decennio in particolare, ha sicuramente spostato l’ago della bilancia in maniera decisiva e, infatti, i flussi migratori in fuga dal nostro “bel paese” sono ripresi in maniera massiccia, come all’inizio del X secolo. Ma scappare dal fagocitante sistema italiano non è così semplice. È interessante, in tal senso, l’articolo di Italiansinfuga che spiega come, in teoria, si dovrebbe fare per riuscirci (sebbene non vi sia certezza alcuna che un domani non vengano tassati a qualsiasi titolo anche gli italiani all’estero):

http://www.italiansinfuga.com/2014/10/30/come-abbandonare-la-residenza-fiscale-italiana-e-vivere-felici-allestero/

Trovo la ragnatela del nostro sistema tassolutamente paralizzante, come se fossimo tutti galline dalle uova d’oro che l’Italia non vuole perdere e incatena avidamente ma che, al tempo stesso, non fa nulla di invitante ed accattivante per tenerci stretti. Siamo sempre più alla deriva, stretti in una morsa d’acciaio che ci leva finanche il respiro. Ormai viviamo come gli ex tedeschi dell’Est o come gli ex sovietici, sotto l’occhio del Grande Fratello, senza diritti né libertà, senza lavoro e tormentati dalle tasse, sempre più poveri e senza prospettive. E ci illudiamo che questa sia democrazia.

Dedicato a certi sindaci e a coloro che li votano…

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Oggi mi sono imbattuta nel Libro VIII de La Repubblica di Platone. Molti elementi ricordano gli eccessi della società attuale e gli errori che ne conseguono. Purtroppo, sembra di leggere la descrizione di taluni nostri politici, anche sindaci, la dabbenaggine di alcuni elettori e gli interessi di altri. A tutti costoro dedico questo abstract:

<<(…) quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici (…) E ricopre d’intenti (…) coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. (…) un padre si abitua a diventare simile al figlio e a temere i propri figli, il figlio diventa simile al padre e pur di essere libero non ha né rispetto né timore dei genitori (…) In una tale situazione un maestro ha paura degli allievi e li lusinga, gli allievi dal canto loro fanno poco conto sia dei maestri sia dei pedagoghi; insomma, i giovani si mettono alla pari dei più anziani e li contestano a parole e a fatti, mentre i vecchi, abbassandosi al livello dei giovani, si riempiono di facezie e smancerie, imitando i giovani per non sembrare spiacevoli e dispotici. (…) chi è stato messo a capo del popolo, se incontra una massa troppo obbediente, non si astiene dal sangue dei concittadini, ma con false accuse, come accade di solito, trascina l’avversario in tribunale e (…) manda in esilio, condanna a morte e proclama cancellazioni di debiti e divisioni di terre. Non è forse inevitabile che dopo queste azioni un individuo simile sia destinato a cadere vittima dei suoi nemici o a diventare tiranno, trasformandosi da uomo in lupo? (…) Ecco colui che lotta contro i possessori di beni! (…) nei primi giorni e in un primo tempo non rivolge forse sorrisi e saluti a tutti quelli che incontra? Non nega di essere un tiranno e non fa molte promesse in privato e in pubblico? Non condona i debiti, non distribuisce la terra al popolo e ai suoi accoliti e non finge di essere mite e affabile con tutti? (…) Ma quando, credo, si è liberato dei nemici esterni accordandosi con gli uni e annientando gli altri, e da quel lato può stare tranquillo, comincia a suscitare guerre in continuazione, affinché il popolo abbia la necessità di un capo. (…) E anche perché i cittadini, impoveritisi per i tributi che devono versare, siano costretti a vivere alla giornata e pensino meno a cospirare contro di lui? (…) E magari per eliminare con un pretesto, consegnandoli ai nemici, coloro che sospetta abbiano uno spirito troppo libero per lasciarlo governare? Per tutti questi motivi il tiranno non deve per forza scatenare sempre una guerra? (…) Ma facendo questo non è facile che venga ancora più in odio ai cittadini? (…) Quindi anche quelli che l’hanno aiutato a prendere il potere e si trovano in una posizione di forza, o almeno i più coraggiosi, parlano con franchezza a lui e tra di loro, criticando il suo operato? (…) Perciò il tiranno deve eliminarli tutti, se vuole dominare, finché non gli rimane nessuno né tra gli amici né tra i nemici che valga qualcosa. (…) Egli si trova implicato in un dilemma (…) che gli impone di vivere con una massa di mediocri, dai quali per giunta è odiato, oppure di non vivere. (…) Ma quanto più si renderà odioso ai cittadini con questo comportamento, tanto più avrà bisogno di guardie del corpo numerose e fedeli (…) Ma chi saranno questi uomini fedeli, e da dove li farà arrivare? Se darà una mercede, (…) molti verranno a volo spontaneamente. (…) fuchi stranieri d’ogni razza! (…) E dal suo stesso Paese chi verrà? Il tiranno non vorrà forse (…) togliere gli schiavi ai cittadini, liberarli e farne le proprie guardie del corpo? Certo (…) perché costoro gli sono assolutamente fedeli. (…) E sono questi (…) i compagni che lo ammirano e i nuovi cittadini che lo attorniano, mentre le persone oneste lo odiano e lo evitano? (…) se la città ha un tesoro sacro gli darà fondo, e finché il ricavato della vendita sarà sufficiente imporrà al popolo minori tributi. (…) E che cosa succederà quando queste ricchezze verranno meno? (…) il popolo che ha generato il tiranno manterrà lui e i suoi compagni (…) >>

Quando cambiare residenza diventa un incubo!!!

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Ma non avevano snellito, anni fa, la burocrazia??? Se non erro, la semplificazione avvenne nel 1997 con la Legge Bassanini. E come mai, oggi, il semplice cambio di residenza è diventato roba da far concorrenza a “Le dodici fatiche di Asterix” (http://m.youtube.com/watch?v=foHQFg3pVK4)? O è solo il Comune di Salerno che rende complicate anche le cose più semplici? Ecco cosa è richiesto, qui, per cambiare casa:

1) Ricevuta TARSU (della casa in cui si va ad abitare??? Ma se non era abitata non c’è ricevuta, o sbaglio? Se era abitata da altri, devo rintracciarli e farmi dare le loro ricevute?… Bah!)

2) Contratto di locazione o atto di acquisto e/o comodato d’uso registrati;

3) Almeno due contratti o bollette di acqua/luce/gas (per avere i contratti devo PRIMA avere la residenza… Come faccio, quindi??? È il cane che si morde la coda…)

4) Carta d’identità;

5) Patente di guida di tutti i componenti il nucleo familiare;

6) libretto/i di circolazione (se proprietari di autoveicoli, motocicli ecc.);

7) è necessario, inoltre, esibire contratto di locazione o di proprietà o dichiarazione dell’ospitante (non è lo stesso del punto 2?)

Funziona così ovunque, anche negli altri Comuni italiani?

Insomma, si fa prima ad abitare in una casa abusivamente… O a trasferirsi all’estero!!!


Inchiesta di La Repubblica: Norvegia. Ho sempre più voglia di emigrare…

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Ho letto questo articolo e mi sono depressa. Lo Stato italiano ci massacra di tasse e controlli senza offrire alcun servizio ai cittadini oppure servizi di pessima qualità, se non in rarissimi casi che fanno notizia. Ma mi sono anche resa conto che il problema, in Italia, sono i troppi furbi che tendono ad approfittare in maniera truffaldina di ogni agevolazione, rendendo vani i pochi sforzi che si fanno. Non vedo più alcuna speranza per il nostro Paese… Non ci resta che andar via. Farò di tutto per aiutare le mie figlie a costruirsi un futuro migliore lontano da qui. Però… che tristezza!

http://d.repubblica.it/attualita/2014/12/11/news/maternit_norvegia_storie_assistenza_medica_confonto_italia-2404088/?ref=HRLV-15