
Talvolta mi domando cosa sia davvero la solitudine e se essa sia una carenza o una risorsa. Ho conosciuto tante persone – giovani, vecchi, bambini, uomini, donne – e tante mi capita di osservarne: ognuno ha una differente percezione della solitudine. Credo che molto dipenda dall’età e dal vissuto, dalle esperienze e dalle aspettative. Chi ha desiderato ardentemente una famiglia, ad esempio, con coniuge e figli, ed un lavoro con colleghi e rapporti sociali ad esso collegati, in via esclusiva, quando e se si trova anziano, pensionato, magari vedovo e con i figli che vivono lontano, si sente improvvisamente solo, svuotato, come un sacco che un tempo era pieno di ogni delizia ed ora non lo è più: è solo un vecchio involucro liso e afflosciato dimenticato in un angolo. Questa rappresenta, a mio avviso, la solitudine triste, quella dei ricordi e dei rimpianti, quella in cui si vorrebbe un’anima con cui condividere parole e pensieri, con cui colmare i vuoti. C’è, poi, la solitudine interiore, quella che non si colma nemmeno in mezzo alla gente, quando si finge di ridere mentre si vorrebbe piangere, che nasce in un tempo ed un luogo remoto dell’anima: è la solitudine disperata, dovuta il più delle volte alla depressione, terribile e subdola malattia. Poi ci sono quelle persone che amano la propria autonomia, l’indipendenza, la possibilità di decidere in ogni momento cosa fare del proprio oggi o del domani, senza doversi preoccupare di danneggiare, con le proprie decisioni, chi sta loro intorno. Persone che vivono con gioia e senso di libertà la propria solitudine, che riempiono i silenzi con la meditazione, la lettura, la musica, la gioiosa compagnia di se stessi. In questo caso, evidentemente, la solitudine rappresenta una risorsa: quando e se si avvicinano a qualcuno, lo fanno per scelta e non per bisogno. Sono quelle persone che, quando decidono di metter su famiglia, lo fanno con assoluta serenità e coscienza, sapendo quali sono le difficoltà e ciò che rischiano di perdere (se stessi e la propria magica solitudine) e non lo fanno per riempire un vuoto ma per amore, quello vero, libero da ogni necessità. Sono persone capaci di riempire di gioia ed interessi la propria vita, che non fanno mai sentire il peso della propria solitudine per la semplice ragione che per loro non rappresenta un peso. Portano la felicità dentro, come un marchio, come fosse il colore dei loro occhi, e sono capaci di irradiarla intorno. E, quando saranno vecchi e pensionati, magari vedovi e con i figli lontani, avranno sempre i loro interessi, tanti amici, e la capacità di trovare soddisfazione anche nella loro ritrovata solitudine. Ci sono, infine, persone che si accontentano di una vita senza emozioni, perché temono la vita stessa, preferendo guardarla scorrere: se si sposano scelgono di non avere figli, o al massimo uno, se hanno un lavoro dev’essere qualcosa che non richiede un eccessivo dispendio di energie, non frequentano nessuno al di fuori della propria famiglia se non, alle feste comandate, i parenti stretti, prediligendo il silenzio pieno di timori delle proprie mura domestiche. Persone prive di interessi che vadano al di là del quieto menàge familiare, che osservano lo scorrere della propria vita senza dare o riceverne nulla, nell’oblio assoluto. Ecco, questo è per me il caso della peggior solitudine: quella del nulla, del vuoto interiore…
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